É
la sera del 5 agosto 1975, è l'ora di cena e non vi sono dubbi:
a quell'ora sia che abbiano o meno la possibilità di ritrovarsi
un piatto davanti, quanto basta per tenere pelle e ossa assieme,
tutti gli abitanti della città sono a casa, il coprifuoco ormai
è diventato parte integrante della vita di ogni indivio e lo
sarà per tutti gli anni che seguiranno; probabilmente fuori
sparano e se ancora non sparano prima o poi lo faranno dato
che è diventata una consuetudine per i Tor Serauit scaricare
in aria i caricatori delle loro armi per terrorizzare la popolazione
- in effetti i muri dei fabbricati della città mostrano ben
poca evidenza di apocalittiche battaglie con i fantasmi della
notte, a parte il muro di quella casetta sotto l'ex Forte Baldissera
colpito forse da un milite che non aveva inteso che bisognava
cercar di abbattere la luna. Contro chi sparavano tutte le sere,
tutte le notti? In effetti non l'abbiamo mai saputo con certezza
ma non erano combattimenti: lo scopo era probabilmente di terrorizzare
costantemente la popolazione e forse anche quello di far credere
al mondo che erano sempre molto impegnati a difendere la città
dai continui attacchi delle ombre della notte. Effettivamente
qualche colpo a segno lo misero: nelle abitazioni dove andavano
a derubare e rapinare; Leo e Mamijan, feriti da colpi d'arma
da fuoco da militari introdottisi nel cuore della notte a scopo
di rapina, lo san bene …..
Radio
Addis Abeba trasmette il notiziario e tutti attendono ansiosamente
dato che vi sono alcune voci in giro che parlano di nazionalizzazione
ma tutti sembrano abbastanza increduli, in fondo sono voci che
giungono tramite radio marciapiede, la trasmittente senza
antenne più attiva e fantastica della città dopo la tragicamente
tramontata Kagnew Station e come tali non si sa fino a che punto
affidabili. Terminato il notiziario in lingua amarica segue
quello in lingua inglese e chiunque può comprendere l'inglese
prova qualcosa che non aveva mai provato in vita sua, vede anni
di duro lavoro, sudore e sacrifici svanire in un attimo nelle
possenti mandibole del nuovo regime.
In
poche parole il testo del notiziario dice che dalla mezzanotte
di quella giornata, coincidente con il primo giorno del mese
etiopico, tutte le terre passeranno al popolo e così pure tutte
le industrie, proprietà private ed attività economiche più importanti.
La proprietà privata viene abolita, ognuno ha diritto a possedere
al massimo un'abitazione ma la terra ove questa è eretta passa
di proprietà del popolo al popolo e il popolo in un regime Marxista
- Leninista è lo stato, o meglio, il mio punto di vista è che
in tali regimi anche il popolo sia di proprietà dello stato
(francamente non sono riuscito ancora a comprendere se, a parte
lo spirito della lettera, nella nostra democrazia la situazione
sia differente ma ho qualche dubbio … ) e se qualcuno mi dice
che così non è, in Etiopia si sono ben avute le prove del contrario.
Allora
lavoravo nell'ufficio paterno, un'agenzia d'affari che si occupava
esclusivamente di amministrazioni immobiliari; un'attività tranquilla
che anche se non eccessivamente redditizia consentiva una vita
onesta e decorosa sui livelli medi di quello che era lo standard
di vita degli stranieri - degli italiani - in Etiopia. I nostri
clienti per la maggiore erano facoltosi commercianti sauditi
e yemeniti che investivano i loro proventi in proprietà immobiliari
e in effetti una buona fetta della città era in loro possesso.
Naturalmente
la nostra era una piccola attività di scarsa importanza economica
e come tale non si ritrovava nazionalizzata; rimane il fatto
che il giorno seguente in pratica ed a tutti gli effetti non
avevamo più nulla da amministrare. L'ufficio rimaneva aperto
il tempo necessario per regolare i conti con i vecchi proprietari
e passare i dati delle proprietà in precedenza amministrate
ai vari kebeliè (distretti di zona instaurati dal nuovo
regime) che le prendevano in carico, processo abbastanza lungo
al quale si dedicò quasi esclusivamente il mio genitore. Dopodichè,
pagato l'ultimo affitto ai tirapiedi del Colonnello Menghistù
Hailemariam anzichè al Sig. Mohamed Ahmed H. Bamishmusc la porta
di quel vecchio e malandato fabbricato nell'ex Viale della Regina
nel cuore della città e dove in precedenza avevano abitato i
miei nonni, i miei genitori, un nugolo di parenti ed ovviamente
io pure veniva chiusa e tutt'ora non so se sia stata riaperta.
Mi
ritrovavo disoccupato e, come tutti gli stranieri che non erano
precipitosamente fuggiti al rumoroso inizio della rivoluzione,
con un grande punto interrogativo davanti: solo i nazionali
avevano diritto ad un posto di lavoro per cui a noi rimanevano
ben poche alternative al di là del suicidio, o sedersi a mendicare
sulla gradinata antistante la Cattedrale Cattolica, l'emigrare
o rimpatriare
Devo
quà giustamente accennare ad una cosa importante a favore degli
etiopici: gli stranieri non sono stati mandati via ne fu loro
chiesto o imposto di andarsene in quanto la nazionalizzazione
toccò indiscriminatamente tutti indipendentemente dal colore
della pelle o nazionalità; può ben essere che uno scopo mirato
della nazionalizzazione - al di la del deliberato furto - fosse
fosse quello di liberarsi di etnie indesiderate ma non fu certo
una mossa scaltra, perlomeno non per i limiti di tempo imposti:
a cavallo della mezzanotte di un singolo giorno! In tal modo
le industrie, che in particolare in Eritrea nelle mani laboriose
e capaci degli italiani continuavano ad espandersi e progredire
tanto che la regione prometteva un boom senza precedenti, un
fiore nell'occhiello dell'Africa, si ritrovarono immediatamente
senza tecnici specializzati, ben presto prive di ricambi, di
adeguata direttiva e mano d'opera e nel giro di pochissimi mesi,
in alcuni casi di giorni, fu uno sfacelo totale. Ove non cessò
completamente la produttività calò ovunque del settanta o ottanta
per cento, tutto funzionava malamente a ritmo ridotto e a singhiozzi;
non esisteva più un brulichio di gente attiva e motivata ma
solo il rantolo di una città morente.
Nel
cortile della mia abitazione (proprietà paterna che essendo
unica, pertanto non soggetta a nazionalizzazione, ancora è tale)
erano pronti due grossi cassoni che a loro tempo avevano contenuto
ricambi di autovetture Volkswagen e nei quali avevo stipato
tutte le cose principali in vista del prossimo rimpatrio - ormai
avevo goduto un lunghissimo periodo di ferie forzate e non troppo
reditizie - ma proprio in quei giorni Gianni, impiegato presso
il Consolato Italiano ed un caro amico, mi telefonò per chiedermi
se avevo intenzione di insegnare alle locali Scuole Statali
Italiane. Probabilmente grandi furono il mio stupore ed il mio
sforzo per non scoppiare in una risata incontrollata, io insegnante?
Col mio carattere? Con un udito menomato? Con un titolo di studio
appena superiore ma definito equivalente alle scuole medie inferiori
italiane … ridicolo, assolutamente pazzesco! É vero, ero considerato
lo scienziato pazzo della città, mi interessavo di mille cose
scientifiche ed altre, avevo una discreta cultura ed un'ottina
conoscenza della lingua inglese, ma questo non bastava certamente
a qualificarmi. Ma nei giorni seguenti Gianni torna insistentemente
alla carica, la consorte mi dice ma perchè non provare?
la possibilità di rimanere all'Asmara, l'umanissimo sogno della
possibilità di una svolta per il meglio nel futuro del paese,
alla fine tutti contribuiscono a farmi fare marcia indietro,
accettare l'impiego, disfare i cassoni e rimettere tutto a posto
con la mia ossessiva mania dell'ordine.
E
così accade che da un giorno all'altro mi ritrovo nuovamente
in barca; anche alla moglie è stato dato un impiego presso il
Consolato Italiano. Gli stipendi ovviamente non sono un gran
che ma in due ce la faccimo discretamente, del resto abbiamo
sempre condotto una vita tranquilla ed equilibrata senza tanti
ghiribizzi per la testa.
Iniziano
le scuole, io sono assegnato alle medie come insegnante di applicazioni
tecniche maschili … non so neanche di cosa si tratta; inoltre
insegno l'inglese … poco male, in fondo lo considero la mia
lingua avendolo coltivato a fondo e per l'aver frequentato scuole
inglesi. Devo insegnare anche scienze e matematica : mi son
sempre interessato di materie scientifiche e la matematica delle
medie è ad un livello a me abbastanza comprensibile … in qualche
modo me la caverò!
Non
rammento in quale stato d'animo mi son recato a scuola la prima
mattina (per quel che ne so potrebbero avermici portato a viva
forza dato che avevo firmato qualcosa!) ma mi son ritrovato
in una classe femminile stracolma di mocciosette, credo quarantatre,
sei o sette italiane e le altre eritree che si sono zittite
e poi alzate di colpo al mio ingresso facendo seguire uno strano
rumore intergalattico che correttamente interpretato suonava
come un fragoroso "buongiorno Sig. Professore". Era on K.O.
tecnico ben assestato ma bene o male riuscivo mostrare di non
aver subito il colpo e a riprendermi e in qualche modo ad iniziare
una nuova vita, una vita che fino al minuto prima mi terrorizzava
ma che dopo due anni risultava essere, in assoluto, l'esperienza
più creativa e completa della mia esistenza.
Il
primo anno in rodaggio alle medie lo passavo senza problemi;
il lavoro mi appassionava, con alunni e alunne andavo più che
d'accordo. La mattina insegnavo, il pomeriggio correggevo i
compiti che ovviamente mi insegnavano sempre qualcosa e la sera
occasionalmente studiavo sui testi scolastici gli argomenti
che avrei avuto in programma il giorno seguente e verso i quali
non ero adeguatamente preparato. Inoltre mi rimaneva il tempo
per dedicarmi ai miei passatempi e attività preferite.
Il
secondo anno, a rodaggio terminato, venni assegnato alle
superiori: ragionieria e geometri: inglese, matematica, scienze
naturali e chimica: come al solito O.K. per l'inglese; un pò
più di fatica per la matematica e le scienze, senz'altro devevo
rispolverarmi o studiare molte cose in anticipo per evitare
i trabocchetti che spesso mi tendevano studenti scaltri e spesso
ben preparati - e la chimica? Già, qualcosa avevo studiato nel
mio ultimo anno scolastico e l'avevo studiato due volte dato
che l'anno l'avevo ripetuto, quello precedente terminandolo
prima del programmato termine solo in quanto non mi andava di
continuare e non presentandomi agli esami, ma era una materia
che non riusciva ad entrarmi in testa; al massimo e con tanta
buona volontà e spirito cristiano padre Rossi, un missionario
Comboniano insegnante di chimica, non riusciva a darmi più di
un due o tre in pagella, mi risparmiava l'uno o lo zero solo
per la sua marcata sensibilità che cercava di umiliare il meno
possibile i suoi alunni, come fare? Chiesi di rinunciare ad
insegnare chimica ma niente da fare; tutti i professori di ruolo
provenienti dall'Italia si erano precipitosamente involati verso
lidi migliori al puzzo della polvere da sparo ed il rumore dei
cannoni, non vi erano altri professori disponibili e la materia
non si poteva abolirla dal programma scolastico solo perchè
il professore in oggetto non se la sentiva di insegnare
anche chimica con la motivazione che per le superiori inglese,
matematica e scienze erano per lui già abbastanza impegnative
da insegnare … perchè anche la chimica? Dovetti adattarmi, ebbi
i miei libri di testo e … orrore! Chimica organica? Chi l'ha
mai vista? Dubitavo che esistesse una materia simile … deve
aver qualcosa a che fare con lo zucchero e il petrolio … Quante
notti avrei dovuto passare a studiare? E come avrei fatto con
gli alunni ripetenti che sapevano così tanto più di me e in
particolare - come avrei avuto modo di realizzare in seguito
- quell'intelligentissimo e scaltro Acberom, appassionato dalla
chimica e dalla matematica, che non perdeva occasione di insegnarmi
qualcosa davanti al resto della classe. Mi era stato riferito
che almeno una delle piccole alunne delle medie aveva pianto
venendo a sapere che il suo precedente professore era
passato alle superiori … come avrei voluto tornare indietro.
Comunque,
come di dovere inizio il mio calvario. Gli alunni delle superiori
sono ovviamente più grandi e più irrequieti; hanno tanti interrogativi;
vivono in una situazione di guerra e spesso con dolorose storie
di fame, stenti, miseria e morte alle loro spalle oltre che
con lo spettro di un futuro senza futuro nella loro esistenza.
Sono tirati dalle maniche e dagli etiopici e dal Fronte di Liberazione
dell'Eritrea che cercano uomini per difendere la loro rispettiva
causa ma naturalmente come eritrei pendono dalla parte del Fronte
ma così vivendo devono vivere alla giornata con lo spettro della
prigionia, della tortura o dell'eliminazione fisica sempre presente
nella loro giovane esistenza. In effetti qualcuno di loro ogni
tanto non si ripresenta in classe: qualcuno si unisce al Fronte,
qualcuno svanisce nel nulla, di qualcuno si rinviene il cadavere.
Tutto
questo si inserisce nella loro vita scolastica, le loro storie
mi raggiungono tra una lezione e l'altra. Li ascolto, ne parliamo
assieme, cominciano a ben volermi e con loro si crea un indimenticabile
rapporto di sincera amicizia che una diversa posizione sociale
e un diverso colore di pelle non riescono ad intaccare. L'ora
di ricreazione tra le lezioni per noi non esiste più, il più
delle volte l'intervallo lo passiamo in classe parlando e discutendo
come vecchi amici, il rapporto professore - alunno esiste
solo sulla carta, spesso vengono a trovarmi anche a casa. Sono
sopratutto curiosi, in particolare li tocca lo spirito del tempo:
sesso e droga, vogliono saperne quanto più possibile. É giusto,
il sesso è sempre esistito anche in Etiopia e se così non fosse
l'Etiopia non avrebbe il posto che alcuni le assegnano nell'ambito
della culla dell'umanità. La droga non è mai stato un grande
problema in quel paese; nel bassopiano dancalo da sempre masticano
foglie di chat , una pianta erbacea allucinogena così
come in Bolivia da sempre masticano foglie di coca e il fenomeno
non si pone come un pesante problema sociale del luogo; droghe
pesanti non se ne sono mai viste tra la popolazione locale e
forse la loro curiosità è motivata da qualche piccola dose introdotta
da qualche studente universitario italiano tornato a casa per
le vacanze annuali con qualche avanzo nella valigia.
In
questo modo trascorre anche il mio secondo anno di vita scolastica
come insegnante e come tale non so cosa sono riuscito a dar
loro ma quello che è certo è che loro mi hanno insegnato molte
cose e nel campo didattico e nella vita di ogni giorno. Chi
ha cercato in qualche modo di dar loro qualche misera cosa intellettualmente
e gli ha teso la mano in amicizia ne ha ricevuto una ricchezza
interiore incolmabile e anche se ne rimane indelebilmente segnato
tutto in qualche modo termina.
Verso
la fine dell'anno scolastico un altro notiziario alla radio:
"entro quindici giorni le rimanenti rappresentanze diplomatiche
all'Asmara e cioè il Consolato Americano, quello Italiano e
quello del Sudan devono sbaraccare … " e tale essendo la situazione
anch'io decido di sbaraccare e rimpatriare. Influisce su tale
decisione anche l'incerto futuro che dovranno affrontare le
mie bambine rimanendo all'Asmara. Ho solo un piccolo problema,
sarebbe meglio rimpatriare con un titolo di studio migliore
per cui mi iscrivo come candidato agli esami di ragioneria,
una cosa che non ho mai potuto sopportare durante tutto l'arco
della mia esistenza. Preferirei molto di più un diploma di geometra
ma non ce la faccio, ho solo una settimana di tempo per prepararmi.
Arriva il periodo degli esami e naturalmente mi ritrovo esaminando
al fianco dei miei precedenti alunni e alunne.
In
pratica vengo promosso per i meriti conquistati sul campo; il
peggiore dei miei alunni si diploma con un 45, a me tocca un
36, il minimo, forse giusto perchè la commissione d'esami non
può bocciare il professore degli alunni che per indiscussi meriti
deve promuovere.
Riporto
a casa da un vecchio magazzino i due cassoni, li riempio nuovamente
di alcune cose utili e una miriade di cianfrusaglie, pietre
della Dancalia, rottami elettronici provenienti dalla defunta
Kagnew Station, ferri vecchi assortiti (sono la mia passione!)
e una mattina un camion viene accompagnato da un muletto,
se li carica e se li porta via; una mossa fortunata, prenderanno
l'ultima nave destinata a lasciare Massawa: chi ha preparato
i cassoni il giorno dopo li ha ancora in attesa, ben stagionati,
sugli assolati moli del porto della Perla del Mar Rosso.
La
mattina del 27 luglio 1977 è una mattina diversa; con moglie,
le due figlie e due amiche della moglie saliamo sull'aereo dell'Ethiopian
Air Lines che ci porterà in Italia. A Khartoum l'aereo fa una
sosta tecnica; aproffittando del portello aperto mi reco sulla
scaletta e una folata di aria calda del deserto mi investe.
Provo contemporaneamente una sensazione di profondo piacere
- amo il vento del deserto, il suo calore - e di intenso sgomento:
sto perdendo il vento del deserto, il suo calore.
Un'altro
soffio di quel vento mi accarezza il volto, sembra dirmi "non
scordarmi".
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