I
monti e la visuale sono maestosi, con buona visibilità dall'alto
si scorgono nettamente in lontananza i contorni di Massawa
sullo sfondo del mare; spesso un immenso mare di bianchissime
nuvole si presenta a quote intermedie e vien quasi la voglia
di tuffarcisi. La vegetazione, consistente ad alte quote, si
dirada progressivamente sino a svanire quasi completamente nel
sottostante deserto al centro del quale compare una misteriosa
collina nera che non ho mai avuto modo di raggiungere che si
dice essere abitata da stranissimi rettili. Abbondante è la
fauna: volatili, scimmie, varie specie di bovidi dal minuscolo
Dick Dick, una specie di capriolo, all'Agazien delle dimensioni
di un alce; leopardi e gattopardi non sono rari e iene, sciacalli,
facoceri, manguste e scoiattoli sono ovunque. La zona è anche
ricca di rettili, camaleonti e lucertole variopinte, varie specie
di serpenti dall'aspide al pitone e purtroppo anche di Scifta
1 ai quali offre sicuri nascondigli e pertanto,
non tanto per i rettili o per la strada ormai in pessime condizioni
quanto per via degli Scifta non è molto frequentata dagli stranieri.
L'amico
Enzo, non certo uno stinco di santo e da molti malvisto - ma
solo per gelosia, le donne non gli resistono - qualche anno
più di me e col quale, appartenendo anch'io al gruppo dei malvisti
2 della città vado molto d'accordo, possiede a Saur,
a quota mille sulle Pendici Orientali, una tenuta dove si coltiva
principalmente il caffè e con la sua invidiabile Fiat 1100 Coloniale
(quella che era in dotazione ai militari italiani) color sabbia
vi ci si reca spesso per controllare che tutto sia in regola
e sovente, per diletto, l'accompagno.
Dopo
gli affari il piacere e verso la metà del pomeriggio si scende
verso il fondo valle a cacciare il Doncolà una specie di camoscio
dalle carni squisite che cacciamo unicamente per portarci qualcosa
di diverso a cena. Ma è una caccia penosa, fa un effetto terribile
vedere un Doncolà ferito a morte, con i due occhi delle dimensioni
di una noce di un colore blu intenso e le grosse lacrime che
gli scendono nei suoi ultimi istanti di vita.
Stasera
gli operai della concessione, tutti eritrei, sono in festa per
qualche ricorrenza e ci uniamo a loro; tra le varie portate
mi viene servito un qualcosa bianco e viscido che non riesco
a mandar giù, sono locuste abbrustolite; ne mangio una per non
tradire l'ospitalità, mi sembra buona ma anche l'occhio vuole
la sua parte per cui non riesco ad andare oltre finchè non arriva
il Doncolà, che mangiamo assieme alla borgutta, una specie
di pane integrale dalla forma sferica con all'interno una pietra
ancora calda.
All'improvviso
Araià, il capo degli operai, cade a terra, gira gli occhi all'indietro,
si rialza in maniera goffa ed urlando grottescamente ma in modo
che niente più ha di umano si dirige velocemente verso di me
- è in preda ad un attacco epilettico, loro lo chiamano corben.
Del corben ne avevo già sentito parlare, strane storie alla
quale non davo importanza e tantomeno mi spaventavano, ma la
situazione ora cambia, l'uomo in preda al corben sembra avercela
con me.
L'irrazionale
nell'umano mi spaventa non tanto per le forme grottesche o pericolose
che può assumere quanto per la palese difficoltà di contrastarlo
efficacemente o di difendersi senza nuocere alla parte interessata,
ma quella sera mi terrorizza, anch'io sono ormai preda dell'irrazionale.
Fuggo precipitosamente verso la strada e di li imbocco il sentiero
che porta a valle, in cielo uno spicchio di luna che certo non
lo rischiara ma - non lo rammento - forse per me è giorno. Il
sentiero è irto e gli ostacoli non mancano; quando scendiamo
per la caccia al doncolà generalmente ci mettiamo un'ora a scendere
nelle zone prescelte ma devono essere passati pochi minuti e
mi ritrovo nei pressi di una vecchia capanna che ho già visto
circa quattrocento metri più a valle e laggiù ritrovo me stesso.
Araià sarà rimasto ad urlare da qualche parte o saranno riusciti
a legarlo, forse ormai sta nuovamente bene, non ho più nulla
da temere ma mi ritrovo laggiù, pantaloncini corti ed un superstite
sandaletto giapponese e basta. Mi ritrovo in tenebre pressochè
totali, certamente serpenti e iene abbondano e quella zona,
ricca di scimmie, non è disdegnata dal leopardo che le annovera
tra i suoi piatti prediletti. Il sentiero non è agevole da risalire
anche in piena luce, figuriamoci in quelle condizioni.
Mi
faccio coraggio, non posso fare altro che quello e cercando
di scacciare tutte le ombre minacciose che infestano la mia
mente risalgo il pendio: ogni attimo è lungo come l'eternità,
ogni rumore, ogni fruscio sembra un tuono, ogni pietra che rotola
mi crea un sussulto, la mia immaginazione vive le situazioni
più drammatiche che abbia mai conosciuto dal pitone che mi strangola
alla iena che stritola le mie ossa. Arrivo sulla strada pricipale
col cuore che scoppia e trovo Enzo con Araià e alcuni uomini
alla mia ricerca. I fuochi sono spenti, le donne e i bambini
ormai si son ritirati.
Passa
parecchio tempo ma un giorno, mentre osservo Araià, una persona
così seria, gentile ed equilibrata che parla con gli operai
del quale è il capogruppo mi sorge un dubbio: che mi abbiano
fatto uno scherzo ben riuscito? Non lo saprò mai.
1 - Briganti; banditi inizialmente voluti -
o meglio, appositamente creati - dall'Amministrazione Britannica
per indurre, tra rapine ed uccisioni, gli italiani ad abbandonare
l'Eritrea. Ma va comunque detto, sempre a favore dell'Amministrazione
Britannica, che per mostrare quanto stesse alla medesima a cuore
l'incolumità e la salvaguardia dei cittadini italiani, ogni
tanto catturava uno di quei fedelissimi scifta che la servivano
e dopo un regolarissimo processo applicava senza indugio l'articolo
104 del Codice Penale Inglese attaccandolo per il collo e lasciandolo
penzolare per almeno un paio di giorni appeso ad un qualunque
lampione della città ma di preferenza nel quartiere del mercato
indigeno.
2 - Indubbiamente molto lontana da Calcutta,
Asmara era comunque divisa in caste: il ceto alto che faceva
capo al Cicolo Italiano; il ceto medio o normale che faceva
capo alla Casa degli Italiani e al Circolo Visentini; il ceppo
dei malvisti che erano i gruppi delle varie bande di quartiere
che si pestavano costantemente tra di loro di santa ragione
solo per il gusto di farlo e, in ogni gruppo, ovviamente un
elemento di spicco e infine il ceppo degli emarginati, in altre
parole i meticci che non erano bene accetti tanto dagli italiani
quanto dagli indigeni e avevano non certo una facile esistenza.
Già, c'erano anche gli eritrei che erano li perchè qualche era
prima della suddivisione in caste madre natura ce li aveva messi
per cui non rientravano nella tassonomia.