Capitolo 3

     
IL "CORBEN"
 
 
 

Tra le zone più belle dell'Eritrea indubbiamente una è quella delle Pendici Orientali, non lontano dall'Asmara e facilmente accessibile, attraversata da una vecchia e ripidissima strada non asfaltata che sembra nascere nell'intenso azzurro del cielo africano per ricadere a picco in una grande piana dorata che scivola dolcemente verso il mare.

I monti e la visuale sono maestosi, con buona visibilità dall'alto si scorgono nettamente in lontananza i contorni di Massawa sullo sfondo del mare; spesso un immenso mare di bianchissime nuvole si presenta a quote intermedie e vien quasi la voglia di tuffarcisi. La vegetazione, consistente ad alte quote, si dirada progressivamente sino a svanire quasi completamente nel sottostante deserto al centro del quale compare una misteriosa collina nera che non ho mai avuto modo di raggiungere che si dice essere abitata da stranissimi rettili. Abbondante è la fauna: volatili, scimmie, varie specie di bovidi dal minuscolo Dick Dick, una specie di capriolo, all'Agazien delle dimensioni di un alce; leopardi e gattopardi non sono rari e iene, sciacalli, facoceri, manguste e scoiattoli sono ovunque. La zona è anche ricca di rettili, camaleonti e lucertole variopinte, varie specie di serpenti dall'aspide al pitone e purtroppo anche di Scifta 1 ai quali offre sicuri nascondigli e pertanto, non tanto per i rettili o per la strada ormai in pessime condizioni quanto per via degli Scifta non è molto frequentata dagli stranieri.

L'amico Enzo, non certo uno stinco di santo e da molti malvisto - ma solo per gelosia, le donne non gli resistono - qualche anno più di me e col quale, appartenendo anch'io al gruppo dei malvisti 2 della città vado molto d'accordo, possiede a Saur, a quota mille sulle Pendici Orientali, una tenuta dove si coltiva principalmente il caffè e con la sua invidiabile Fiat 1100 Coloniale (quella che era in dotazione ai militari italiani) color sabbia vi ci si reca spesso per controllare che tutto sia in regola e sovente, per diletto, l'accompagno.

Dopo gli affari il piacere e verso la metà del pomeriggio si scende verso il fondo valle a cacciare il Doncolà una specie di camoscio dalle carni squisite che cacciamo unicamente per portarci qualcosa di diverso a cena. Ma è una caccia penosa, fa un effetto terribile vedere un Doncolà ferito a morte, con i due occhi delle dimensioni di una noce di un colore blu intenso e le grosse lacrime che gli scendono nei suoi ultimi istanti di vita.

Stasera gli operai della concessione, tutti eritrei, sono in festa per qualche ricorrenza e ci uniamo a loro; tra le varie portate mi viene servito un qualcosa bianco e viscido che non riesco a mandar giù, sono locuste abbrustolite; ne mangio una per non tradire l'ospitalità, mi sembra buona ma anche l'occhio vuole la sua parte per cui non riesco ad andare oltre finchè non arriva il Doncolà, che mangiamo assieme alla borgutta, una specie di pane integrale dalla forma sferica con all'interno una pietra ancora calda.

All'improvviso Araià, il capo degli operai, cade a terra, gira gli occhi all'indietro, si rialza in maniera goffa ed urlando grottescamente ma in modo che niente più ha di umano si dirige velocemente verso di me - è in preda ad un attacco epilettico, loro lo chiamano corben. Del corben ne avevo già sentito parlare, strane storie alla quale non davo importanza e tantomeno mi spaventavano, ma la situazione ora cambia, l'uomo in preda al corben sembra avercela con me.

L'irrazionale nell'umano mi spaventa non tanto per le forme grottesche o pericolose che può assumere quanto per la palese difficoltà di contrastarlo efficacemente o di difendersi senza nuocere alla parte interessata, ma quella sera mi terrorizza, anch'io sono ormai preda dell'irrazionale. Fuggo precipitosamente verso la strada e di li imbocco il sentiero che porta a valle, in cielo uno spicchio di luna che certo non lo rischiara ma - non lo rammento - forse per me è giorno. Il sentiero è irto e gli ostacoli non mancano; quando scendiamo per la caccia al doncolà generalmente ci mettiamo un'ora a scendere nelle zone prescelte ma devono essere passati pochi minuti e mi ritrovo nei pressi di una vecchia capanna che ho già visto circa quattrocento metri più a valle e laggiù ritrovo me stesso. Araià sarà rimasto ad urlare da qualche parte o saranno riusciti a legarlo, forse ormai sta nuovamente bene, non ho più nulla da temere ma mi ritrovo laggiù, pantaloncini corti ed un superstite sandaletto giapponese e basta. Mi ritrovo in tenebre pressochè totali, certamente serpenti e iene abbondano e quella zona, ricca di scimmie, non è disdegnata dal leopardo che le annovera tra i suoi piatti prediletti. Il sentiero non è agevole da risalire anche in piena luce, figuriamoci in quelle condizioni.

Mi faccio coraggio, non posso fare altro che quello e cercando di scacciare tutte le ombre minacciose che infestano la mia mente risalgo il pendio: ogni attimo è lungo come l'eternità, ogni rumore, ogni fruscio sembra un tuono, ogni pietra che rotola mi crea un sussulto, la mia immaginazione vive le situazioni più drammatiche che abbia mai conosciuto dal pitone che mi strangola alla iena che stritola le mie ossa. Arrivo sulla strada pricipale col cuore che scoppia e trovo Enzo con Araià e alcuni uomini alla mia ricerca. I fuochi sono spenti, le donne e i bambini ormai si son ritirati.

Passa parecchio tempo ma un giorno, mentre osservo Araià, una persona così seria, gentile ed equilibrata che parla con gli operai del quale è il capogruppo mi sorge un dubbio: che mi abbiano fatto uno scherzo ben riuscito? Non lo saprò mai.

 

 

1 - Briganti; banditi inizialmente voluti - o meglio, appositamente creati - dall'Amministrazione Britannica per indurre, tra rapine ed uccisioni, gli italiani ad abbandonare l'Eritrea. Ma va comunque detto, sempre a favore dell'Amministrazione Britannica, che per mostrare quanto stesse alla medesima a cuore l'incolumità e la salvaguardia dei cittadini italiani, ogni tanto catturava uno di quei fedelissimi scifta che la servivano e dopo un regolarissimo processo applicava senza indugio l'articolo 104 del Codice Penale Inglese attaccandolo per il collo e lasciandolo penzolare per almeno un paio di giorni appeso ad un qualunque lampione della città ma di preferenza nel quartiere del mercato indigeno.

2 - Indubbiamente molto lontana da Calcutta, Asmara era comunque divisa in caste: il ceto alto che faceva capo al Cicolo Italiano; il ceto medio o normale che faceva capo alla Casa degli Italiani e al Circolo Visentini; il ceppo dei malvisti che erano i gruppi delle varie bande di quartiere che si pestavano costantemente tra di loro di santa ragione solo per il gusto di farlo e, in ogni gruppo, ovviamente un elemento di spicco e infine il ceppo degli emarginati, in altre parole i meticci che non erano bene accetti tanto dagli italiani quanto dagli indigeni e avevano non certo una facile esistenza. Già, c'erano anche gli eritrei che erano li perchè qualche era prima della suddivisione in caste madre natura ce li aveva messi per cui non rientravano nella tassonomia.

 
 
  1- Kagnew Station 2 - Il camioncino Balilla 4 - Il pianeta degli Afar [1] 5 - Il pianeta degli Afar [2]
6 - Zaad Amba 7 - Il mare 8 - Il giorno più lungo 9 - Il professore
10 - Guerra e pace 11 - Il giorno dopo 12 - Epilogo