Nanni Volpe, nel rompere il maggese, alle prime acque, aveva acchiappata una perniciosa. - La terra che se lo mangiava finalmente - e il medico e lo speziale pure. Raffaela, poveretta, si sarebbe meritata una statua, in quella circostanza. Tutto il giorno in faccende col nipote, a far cuocere decotti e preparar le medicine pel malato. Lui rimminchionito in fondo a un letto, pensando sempre ai denari che volavano via, e ai suoi interessi ch'erano in mano di questo e di quello - gli uomini che mangiavano e bevevano alle sue spalle e se ne stavano intanto nell'aia senza far nulla, ora che mancava l'occhio del padrone - il curatolo che gli rubava certo una pezza di formaggio ogni due giorni - la porta del magazzino che ci voleva la serratura nuova, tanto che il camparo doveva averci pratica colla vecchia. - La notte non sognava altro che ladri e ruberie, e si svegliava di soprassalto, col sudore della morte addosso. Una volta gli parve anche di udir rumore nella stanza accanto, e saltò dal letto in camicia, collo schioppo in mano. C'erano davvero due piedi che uscivano fuori, di sotto il tavolone, e Raffaela in sottanino che s'affannava a buttarvi roba addosso:
- Al ladro, al ladro! - si mise a gridare Nanni Volpe, frugando sotto la tavola colla canna dello schioppo.
- Non mi uccidete, ché sono sangue vostro! - balbettò Carmine rizzandosi in piedi, pallido come la camicia, e Raffaela, facendosi il segno della croce, brontolava:
- L'avevo ben detto, che l'olio per terra porta disgrazia! -
Poscia, spinto fuori dell'uscio Carmine più morto che vivo, e ancora mezzo svestito, Raffaela si mise attorno al suo marito, coi beveroni, col vino medicato, per farlo rimettere dallo spavento, scaldandogli i piedi col fiasco d'acqua calda, rincalzandogli nella schiena la coperta; - Lei non sapeva, in coscienza, come si fosse ficcato lì quel ragazzaccio. Gli aveva detto, è vero, in prima sera, di aiutarla a cavar fuori il bucato; ma credeva che a quell'ora se ne fosse già andato da un pezzo.
Nanni, rammollito dal letto e dalla malattia, lasciava dire e lasciava fare. Però, testa fina di villano, col naso sotto il lenzuolo, pensava ai casi suoi e al modo di levare i piedi da quel pantano, senza lasciarci le scarpe.
- Senti, - disse alla moglie appena giorno. - Ho pensato di far testamento.
- Che malaugurio vi viene in mente adesso?
- No, no, figliuola mia. Ho i piedi nella fossa. Mi son logorata la pelle per far la roba, e voglio aggiustare i conti prima di lasciar la fattoria.
- Almeno si può sapere che intenzioni avete?
- Quanto a questo sta' tranquilla. Sai come dice il proverbio? «L'anima a chi va e la roba a chi tocca».
- Dio vi terrà conto del bene che mi avete fatto e che mi fate! - rispose Raffaela intenerita. - Mi avete presa nuda e cruda come un'orfanella, e anch'io vi ho rispettato sempre come un padre.
- Sì, sì, lo so, - accennò il marito, e la nappina del berretto che accennava di sì anch'essa. Volle pure confessarsi e comunicarsi, per essere in pace con Dio e cogli uomini, quando il Signore lo chiamava. Mandò a cercare persino suo nipote, e gli disse:
- Bestia, perché sei scappato? Avevi paura di me, che sono il sangue tuo? -
Carmine, come un baccellone, non sapeva che rispondere, dondolandosi or su una gamba e ora sull'altra, col berretto in mano.
- Rimetti il tuo berretto, - conchiuse lo zio Nanni. - Qui sei in casa tua, e puoi venirci quando vuoi. Anzi sarà meglio, per guardarti i tuoi interessi -.
E come l'altro spalancava gli occhi di bue:
- Sì, sì, va' a chiederlo al notaro il testamento che ho fatto, ingrataccio! «L'anima a Dio e la roba a chi tocca» -.
Allora Raffaela saltò su come una furia:
- L'anima la darete al diavolo! Come un ladro che siete! Sì, un ladro! Perché vi ho sposato dunque?
- Questo è un altro affare - rispose Nanni spogliandosi per tornare a letto - un altro affare che non può aggiustarsi, al caso, come un testamento.
- Ohè! - gridò Carmine affrontando la zia, che voleva slanciarsi colle unghie fuori. - Ohè! non toccate mio zio! O vi tiro il collo come una gallina -.
Raffaela uscì di casa inferocita, giurando che andava a citare suo marito dinanzi al giudice per avere il fatto suo, e voleva farlo morir solo e arrabbiato come un cane.
- Non importa! - disse Carmine, il nipote. - Se mi volete, ci resto io a curarvi che sono sangue vostro.
- Bravo! - rispose Nanni. - E ti guarderai i tuoi interessi pure -.
Però Raffaela in casa della mamma fu accolta come un cane che viene a mangiare nella scodella altrui.
- Non hai la tua casa adesso? Non sei già maritata? Che vuoi qui? -
Essa voleva almeno gli alimenti dal marito. Ma Nanni Volpe sapeva il codice meglio di un avvocato.
- L'ho forse cacciata via di casa? - rispose al giudice. - La porta è aperta, se vuol tornare, lei -.
Carmine badava a dirgli che faceva uno sbaglio grosso a mettersi di nuovo la moglie in casa con quell'odio che doveva covar lei, che un giorno o l'altro l'avrebbe avvelenato per levarselo dinanzi.
- No, no, - rispose lo zio col suo risolino d'uomo dabbene. - Il testamento è in favor tuo, e se mi avvelena non ci guadagna nulla. Anzi! - Si grattò il capo a pensare se dovesse dirla, e infine se la tenne per sé, ridendo cheto cheto.
Infine Raffaela tornò a casa sottomessa come una pecora. L'accompagnò la mamma Sènzia e gli altri parenti. - Nulla nulla. Son cose che succedono fra marito e moglie; ma ora la pace è fatta, e vedrete come vostra moglie si ripiglia il cuore che gli avete dato, compare Nanni.
- Io non gliel'ho tolto, - rispose Nanni Volpe. - E non voglio toglierle nulla, se lo merita -.
Raffaela per meritarselo si fece buona ed amorevole che non pareva vero, sempre intorno al marito, a curarlo, a prevenire ogni suo desiderio e ogni malanno. Il vecchio le diceva:
- Fai bene, fai bene. Perché se mi accade una disgrazia prima che io abbia avuto il tempo di rifare il testamento, è peggio per te -.
E si lasciava cullare e lisciare, e mettere nel cotone, e ci stava come un papa.
- Un giorno o l'altro, - tornava a dire, - se il Signore mi dà tempo, voglio rifare il testamento. Ho lavorato tutta la vita; ho fatto suola di scarpe della mia pelle; ma ora ho il benservito. Tutto sta ad avere il giudizio per procurarsi il benservito -.
Il solo fastidio che gli fosse rimasto, in quella beatitudine, erano le liti continue fra Carmine e la zia. Strilli e botte da orbi tutto il giorno, e non poteva neppure alzarsi per chetarli.
Alle volte Raffaela compariva tutta arruffata, sputando fiele, col sangue che le colava giù dal naso, mostrando gli sgraffi e le lividure:
- Guardate cosa m'ha fatto, quell'assassino!
- Ehi, ehi, Carmine, cosa le hai fatto a tua zia, birbante?
- Perché non lo cacciate via a pedate quel fannullone?
- Eh, eh, bisogna averci un uomo in casa, ora che sono inchiodato al letto.
- Vedrete! vedrete! Un giorno o l'altro vi fa fare la morte del topo, per non lasciarvi il tempo di rifare il testamento. Vi dà il tossico, com'è vero Dio!
- O tu che ci stai a fare allora, se non mi guardi la pelle e i tuoi interessi? -
Sempre quell'affare del testamento, che Carmine n'era contento, così come gli aveva detto lo zio, e la moglie no; e Nanni Volpe fra i due non trovava modo di rifarlo, diceva ogni volta che si sentiva peggio; sicché Raffaela, al veder che se ne andava di giorno in giorno, ormai tutto una cosa gialla col berretto di cotone, si mangiava il fegato dalla bile, e si sentiva male anche lei, tanto che infine glielo disse chiaro e tondo in faccia a Carmine stesso, il quale stava imboccando lo zio col cucchiaio in una mano e reggendogli il capo coll'altra.
- Fate bene a tenervi così caro il sangue vostro, perché non sapete il bel servizio che v'ha reso vostro nipote! -
Carmine voleva romperle sul muso la scodella e il candeliere; ma il vecchio, agitando due o tre volte adagio adagio il fiocco del berretto, disse:
- Sì, sì, lo so -.
Così se ne andò all'altro mondo, pian pianino e servito come un principe. Quando Carmine volle cacciar via a pedate Raffaela dalla casa, che oramai doveva esser di lui solo, fece aprire il testamento, e si vide allora quant'era stato furbo Nanni Volpe, che aveva canzonato lui, la moglie e anche Cristo in paradiso. La roba andava tutta all'ospedale, e zia e nipote s'accapigliarono per bene, stavolta, dinanzi al notaro.