Ti risovviene di quella giovinetta che quattro anni fa villeggiava appie' di queste colline? era la innamorata del nostro Olivo P***, e tu sai com'ei impoverì, né poté più averla in isposa. Oggi io l'ho riveduta accasata a un titolato, parente della famiglia T***. Passando per le sue possessioni, venne a visitare Teresa. Io sedeva per terra sul tappeto, e attentissimo all'esemplare della mia Isabellina che scorbiava l'abbiccì sopra una sedia. Com'io la vidi, m'alzai correndole incontro quasi quasi per abbracciarla: - quanto diversa! contegnosa, affettata, penò a ravvisarmi, e poi fece le maraviglie masticando un complimentuccio mezzo a me, mezzo a Teresa - e scommetto che la mia vista non preveduta l'ha sconcertata. Ma cinguettando e di giojelli e di nastri e di vezzi e di cuffie, si rinfrancò. Io mi sperava di usarle un atto di carità graziosa sviando il disorso da simili frascherie; e perché quasi tutte le giovani le si fanno più belle in viso, e non bisognano d'altri ornamenti, allorquando modestamente ti parlano del lor cuore, le ricordai queste campagne e que' suoi giorni beati. - Ah, ah, rispose sbadatamente; e tirò innanzi ad anatomizzare l'oltramontano travaglio de' suoi orecchini. Il marito frattanto (perché fra il Popolone de' pigmei ha scroccato fama di savant come l'Algarotti e il ***) gemmando il suo pretto favellare toscano di mille frasi francesi, magnificava il prezzo di quelle inezie, e il buon gusto della sua sposa. Stava io per pigliarmi il cappello, ma un'occhiata di Teresa mi fe' star cheto. La conversazione venne di mano in mano a cadere su' libri che noi leggevamo in campagna. Allora tu avresti udito Messere tesserci il panegerico della prodigiosa biblioteca de' suoi maggiori, e della collezione di tutte l'edizioni Principes degli antichi ch'ei ne' suoi viaggi ebbe cura di completare. Io rideva fra cuore, ed ei proseguiva la sua lezione di frontespizj. Quando Gesù volle, tornò un servo ch'era ito in traccia del signore T*** ad avvertire Teresa che non l'avea potuto trovare, perché egli era uscito a caccia per le montagne; e la lezione fu rotta. Chiesi alla sposa novella di Olivo ch'io dopo le sue disgrazie non aveva più riveduto. Immaginerai che cuore fu il mio quando m'intesi freddamente rispondere dall'antica sua amante: È già morto. - È morto! sclamai balzando in piedi, e guardandola stupidito. E descrissi a Teresa l'egregia indole di quel giovine senza pari, e la sua nemica fortuna che lo costrinse a combattere con la povertà e con la infamia; e morì nondimeno scevro di taccia e di colpa.
Il marito allora prese a narrarci la morte del padre di Olivo, le dissensioni con suo fratello primogenito, le liti sempre più accanite, e la sentenza de' tribunali che giudici fra due figli di uno stesso padre, per arricchire l'uno, spogliarono l'altro; divoratosi il povero Olivo fra le cabale del foro anche quel poco che gli rimanea. Moralizzava su questo giovine stravagante che ricusò i soccorsi di suo fratello, e invece di placarselo, lo inasprì sempre più. - Sì sì, lo interruppi, se suo fratello non ha potuto essere giusto, Olivo non doveva essere vile. Tristo colui che ritira il suo cuore dai consigli e dal compianto dell'amicizia, e sdegna i mutui sospiri della pietà, e rifiuta il pronto soccorso che la mano dell'amico gli porge. Ma le mille volte più tristo chi fida nell'amicizia del ricco: e presumendo virtù in chi non fu mai sventurato, accoglie quel beneficio che dovrà poscia scontare con altrettanta onestà. La felicità non si collega con la sventura che per comperare la gratitudine e tiranneggiare la virtù. L'uomo, animale oppressore, abusa dei capricci della fortuna per aggiudicarsi il diritto di soverchiare. A' soli afflitti è bensì conceduto il potersi e soccorrere e consolare scambievolmente senz'insultarsi; ma colui che giunse a sedere alla mensa del ricco, tosto, benché tardi, s'avvede.
29 Aprile
Vicino a lei io sono sì pieno di vita che appena sento di vivere. Così quand'io mi desto dopo un pacifico sonno, se il raggio di Sole mi riflette su gli occhi, la mia vista si abbaglia e si perde in un torrente di luce.
Da gran tempo mi lagno della inerzia in cui vivo. Al riaprirsi della primavera mi proponeva di studiare botanica; e in due settimane io aveva raccattato su per le balze parecchie dozzine di piante che adesso non so più dove me le abbia riposte. Mi sono assai volte dimenticato il mio Linneo sopra i sedili del giardino, o appié di qualche albero; l'ho finalmente perduto. Jeri Michele me ne ha recato due foglj tutti umidi di rugiada; e stamattina mi ha recato notizia che il rimanente era stato mal concio dal cane dell'ortolano.
Teresa mi sgrida: per compiacerle m'accingo a scrivere; ma sebbene incominci con la più bella vocazione che mai, non so andar innanzi per più di tre o quattro periodi. Mi assumo mille argomenti; mi s'affacciano mille idee: scelgo, rigetto, poi torno a scegliere; scrivo finalmente, straccio, cancello, e perdo spesso mattina e sera: la mente si stanca, le dita abbandonano la penna, e mi avvengo d'avere gittato il tempo e la fatica. - Se non che t'ho detto che lo scrivere libri la è cosa da più e da meno delle mie forze: aggiungi lo stato dell'animo mio, e t'accorgerai che s'io ti scrivo ogni tanto una lettera, non è poco. - Oh la scimunita figura ch'io fo quand'ella siede lavorando, ed io leggo! M'interrompo a ogni tratto, ed ella: Proseguite! Torno a leggere: dopo due carte la mia pronunzia diventa più rapida e termina borbottando in cadenza. Teresa s'affanna: Deh leggete un po' ch'io v'intenda! - io continuo; ma gli occhi miei, non so come, si sviano disavvedutamente dal libro, e si trovano immobili su quell'angelico viso. Divento muto; cade il libro e si chiude; perdo il segno, né so più ritrovarlo - Teresa vorrebbe adirarsi; e sorride.
Pur se afferrassi tutti i pensieri che mi passano per fantasia! - ne vo notando su' cartoni e su' margini del mio Plutarco; se non che, non sì tosto scritti, m'escono dalla mente; e quando poi li cerco sovra la carta, ritrovo aborti d'idee scarne sconnesse, freddissime. Questo ripiego di notare i pensieri, anzi che lasciarli maturare dentro l'ingegno, è pur misero! - ma così si fanno de' libri composti d'altrui libri a mosaico. - E a me pure, fuor d'intenzione, è venuto fatto un mosaico. - In un libretto inglese ho trovato un racconto di sciagura; e mi pareva a ogni frase di leggere le disgrazie della povera Lauretta: - il Sole illumina da per tutto ed ogni anno i medesimi guai su la terra! - Or io per non parere di scioperare mi sono provato di scrivere i casi di Lauretta, traducendo per l'appunto quella parte del libro inglese, e togliendovi, mutando, aggiungendo assai poco di mio, avrei raccontato il vero, mentre forse il mio testo è romanzo. Io voleva in quella sfortunata creatura mostrare a Teresa uno specchio della fatale infelicità dell'amore. Ma credi tu che le sentenze, e i consigli, e gli esempj de' danni altrui giovino ad altro fuorché a irritare le nostre passioni? Inoltre in cambio di narrare di Lauretta, ho parlato di me: tale è lo stato dell'anima mia, torna sempre a tastare le proprie piaghe - però non mi pare di lasciar leggere questi tre o quattro fogli a Teresa: le farei più male che bene - e per ora lascio anche stare di scrivere - Tu leggili. Addio.
Frammento della Storia di Lauretta
«Non so se il cielo badi alla terra. Pur se ci ha qualche volta badato (o almeno il primo giorno che la umana razza ha incominciato a formicolare) io credo che il Destino abbia scritto negli eterni libri:
4 Maggio
Hai tu veduto dopo i giorni della tempesta prorompere fra l'auree nuvole dell'oriente il vivo raggio del Sole e riconsolar la natura? Tale per me è la vista di costei. - Discaccio i miei desiderj, condanno le mie speranze, piango i miei inganni: no, io non la vedrò più; io non l'amerò. Odo una voce che mi chiama traditore; la voce di suo padre! M'adiro contro me stesso, e sento risorgere nel mio cuore una virtù sanatrice, un pentimento. - Eccomi dunque saldo nella mia risoluzione; saldo più che mai: ma poi? - All'apparir del suo volto ritornano le illusioni, e l'anima mia si trasforma, e obblia se medesima, e s'imparadisa nella contemplazione della bellezza.
8 Maggio
Ella non t'ama; e se pure volesse amarti, nol può. È vero, Lorenzo: ma s'io consentissi a strapparmi il velo dagli occhi, dovrei subito chiuderli in sonno eterno; poiché senza questo angelico lume, la vita mi sarebbe terrore, il mondo caos, la Natura notte e deserto. - Anziché spegnere una per una le fiaccole che rischiarano la prospettiva teatrale e disingannare villanamente gli spettatori, non sarebbe assai meglio calar il sipario in un subito, e lasciarli nella loro illusione? Ma se l'inganno ti nuoce: - che monta? se il disinganno mi uccide!
Una domenica intesi il parroco che sgridava i villani perché s'ubbriacavano. E non s'accorgeva come avvelenava a que' meschini il conforto di addormentare nell'ebbrietà della sera le fatiche del giorno, di non sentire l'amarezza del loro pane bagnato di sudore e di lagrime, e di non pensare al rigore e alla fame che il venturo verno minaccia.
11 Maggio
Conviene dire che Natura abbia pur d'uopo di questo globo, e della specie di viventi litigiosi che lo stanno abitando. E per provvedere alla conservazione di tutti, anziché legarci in reciproca fratellanza, ha costituito ciascun uomo così amico di se medesimo, che volentieri aspirerebbe all'esterminio dell'universo per vivere più sicuro della propria esistenza e rimanersi despota solitario di tutto il creato. Niuna generazione ha mai veduto per tutto il suo corso la dolce pace, la guerra fu sempre l'arbitra de' diritti, e la forza ha dominato tutti i secoli. Così l'uomo or aperto, or secreto, e sempre implacabile nemico della umanità, conservandosi con ogni mezzo, cospira all'intento della Natura che ha d'uopo della esistenza di tutti: e i discendenti di Caino e d'Abele, quantunque imitino i loro primitivi parenti e si trucidino perpetuamente l'un l'altro, vivono e si propagano. Or odi. - Ho accompagnato stamattina per tempo Teresa e la sua sorellina in casa di una lor conoscente venuta a villeggiare. Credeva di desinare in lor compagnia, ma per mia disgrazia aveva fin dalla settimana passata promesso al chirurgo che mi troverei a pranzo con lui, e se Teresa non me ne facea sovvenire, io, a dirti la verità, me n'era dimenticato. Mi vi sono dunque avviato un'oretta innanzi al mezzogiorno; ma affannato dal caldo, mi sono a mezza strada coricato sotto un ulivo: al vento di jeri fuor di stagione, oggi è succeduta un'arsura nojosissima: e me ne stava lì al fresco spensieratamente come se avessi già desinato. Voltando la testa mi sono avveduto di un contadino che guardavami bruscamente: - Che fate voi qui?
- Sto, come vedete, riposando.
- Avete voi possessioni? - percotendo la terra col calcio del suo schioppo.
- Perché?
- Perché - sdrajatevi su i vostri prati, se ne avete; e non venite a pestare l'erba degli altri, - e partendo, - fate ch'io tornando vi trovi!
Io non mi era mosso, ed egli se n'era ito. A bella prima, io non aveva badato alle sue bravate; ma ripensandoci; se ne avete! e se la fortuna non avesse conceduto a' miei padri due pertiche di terreno, tu m'avresti negato anche nella parte più sterile del tuo prato l'estrema pietà del sepolcro! - Ma osservando che l'ombra dell'ulivo diventava più lunga, mi sono ricordato del pranzo.
Poco fa tornandomi a casa ho trovato su la mia porta l'uomo stesso di stamattina. - Signore, vi stava aspettando; se mai - vi foste adirato meco; vi domando perdono.
- Riponete il cappello: io non me ne sono già offeso.
Perché mai questo mio cuore nelle stesse occasioni ora è pace pace, ora è tutto tempesta? Diceva quel viaggiatore: Il flusso e riflusso de' miei umori governa tutta la mia vita. Forse un minuto prima il mio sdegno sarebbe stato assai più grave dell'insulto. Perché dunque rimetterci al beneplacito di chi ne offende, permettendo ch'egli ci possa turbare con una ingiuria non meritata? Vedi come l'amor proprio ruffiano si prova con questa pomposa sentenza di ascrivermi a merito un'azione che è derivata forse da - chi lo sa? In pari occasioni non ho usato di eguale moderazione: è vero che passata mezz'ora ho filosofato contro di me; ma la ragione è venuta zoppicando; e il pentimento, per chi aspira alla saviezza, è sempre tardo - ma né io v'aspiro: io mi sono uno de' tanti figliuoli della terra, non altro; e porto meco tutte le passioni e le miserie della mia specie.
Il contadino andava ridicendo: - Vi ho fatto villania, ma io non vi conosceva; que' lavoratori che segavano il fieno ne' prati vicino mi hanno dopo ammonito.
- Non importa, buon uomo: come andrà egli il raccolto quest'anno?
- Patiremo del caro: or pregovi, signor mio, perdonatemi. Dio volesse v'avessi allor conosciuto!
- Galantuomo; o conoscendo, o non conoscendo non date noja a nessuno, perché starete a rischio a ogni modo o di inimicarvi il ricco, o di maltrattare il povero: quanto a me non occorre.
- Dice bene il signore; Dio gliene rimeriti. - E si partì. E farà forse peggio; gli ha un certo che di sfacciato nel viso; e la ragione degli animali ragionevoli, quando non sentono verecondia, è ragione perniciosissima a chiunque ha che fare con loro.
Intanto? crescono ogni giorno i martiri perseguitati dal nuovo usurpatore della mia patria. Quanti andranno tapinando e profughi ed esiliati, senza il letto di poca erba né l'ombra di un ulivo - Dio lo sa! Lo straniero infelice è cacciato perfino dalla balza dove le pecore pascono tranquillamente.
12 Maggio
Non ho osato no, non ho osato. - Io poteva abbracciarla e stringerla qui, a questo cuore. La ho veduta addormentata: il sonno le tenea chiusi que' grandi occhi neri; ma le rose del suo sembiante si spargeano allora più vive che mai su le sue guance rugiadose. Giacea il suo bel corpo abbandonato sopra un sofà. Un braccio le sosteneva la testa e l'altro pendea mollemente. Io la ho più volte veduta a passeggiare e a danzare; mi sono sentito sin dentro l'anima e la sua arpa e la sua voce; la ho adorata pien di spavento come se l'avessi veduta discendere dal paradiso - ma così bella come oggi, io non l'ho veduta mai, mai. Le sue vesti mi lasciavano trasparire i contorni di quelle angeliche forme; e l'anima mia le contemplava e - che posso più dirti? tutto il furore e l'estasi dell'amore mi aveano infiammato e rapito fuori di me. Io toccava come un divoto e le sue vesti e le sue chiome odorose e il mazzetto di mammole ch'essa aveva in mezzo al suo seno - sì sì, sotto questa mano diventata sacra ho sentito palpitare il suo cuore. Io respirava gli aneliti della sua bocca socchiusa - io stava per succhiare tutta la voluttà di quelle labbra celesti - un suo bacio! e avrei benedette le lagrime che da tanto tempo bevo per lei - ma allora allora io la ho sentita sospirare fra il sonno: mi sono arretrato, respinto quasi da una mano divina. T'ho insegnato io forse ad amare, ed a piangere? e cerchi tu un breve momento di sonno perché ti ho turbato le tue notti innocenti e tranquille? a questo pensiero me le sono prostrato davanti immobile immobile rattenendo il sospiro - e sono fuggito per non ridestarla alla vita angosciosa in cui geme. Non si querela, e questo mi strazia ancor più: ma quel suo viso sempre più mesto, e quel guardarmi con pietà, e tacere sempre al nome di Odoardo, e sospirare sua madre - ah! il cielo non ce l'avrebbe conceduta se non dovesse anch'essa partecipare del sentimento del dolore. Eterno Iddio! esisti tu per noi mortali? O sei tu padre snaturato verso le tue creature? So che quando hai mandato su la terra la Virtù, tua figliuola primogenita, le hai dato per guida la Sventura. Ma perché poi lasciasti la Giovinezza e la Beltà così deboli da non poter sostenere le discipline di sì austera istitutrice? In tutte le mie afflizioni ho alzato le braccia sino a te, ma non ho osato né mormorare né piangere: ahi adesso! Or perché farmi conoscere la felicità s'io doveva bramarla sì fieramente, e perderne la speranza per sempre? - No, Teresa è mia tutta; tu me l'hai assegnata perché mi creasti un cuore capace di amarla immensamente, eternamente.
13 Maggio
S'io fossi pittore! che ricca materia al mio pennello! L'artista immerso nella idea deliziosa del bello addormenta o mitiga almeno tutte le altre passioni. - Ma se anche fossi pittore? Ho veduto ne' pittori e ne' poeti la bella, e talvolta anche la schietta natura; ma la natura somma, immensa, inimitabile non la ho veduta dipinta mai. Omero, Dante e Shakespeare, tre maestri di tutti gl'ingegni sovrumani, hanno investito la mia immaginazione ed infiammato il mio cuore: ho bagnato di caldissime lagrime i loro versi; e ho adorato le loro ombre divine come se le vedessi assise su le volte eccelse che sovrastano l'universo a dominare l'eternità. Pure gli originali che mi veggo davanti mi riempiono tutte le potenze dell'anima, e non oserei, Lorenzo, non oserei, s'anche si trasfondesse in me Michelangelo, tirarne le prime linee. Sommo Iddio! quando tu miri una sera di primavera ti compiaci forse della tua creazione? tu mi hai versato per consolarmi una fonte inesausta di piacere, ed io la ho guardata sovente con indifferenza. Su la cima del monte indorato da' pacifici raggi del Sole che va mancando, io mi vedo accerchiato da una catena di colli su' quali ondeggiano le messi, e si scuotono le viti sostenute in ricchi festoni dagli ulivi e dagli olmi: le balze e i gioghi lontani vanno sempre crescendo come se gli uni fossero imposti su gli altri. Di sotto a me le coste del monte sono spaccate in burroni infecondi fra i quali si vedono offuscarsi le ombre della sera, che a poco a poco s'innalzano; il fondo oscuro e orribile sembra la bocca di una voragine. Nella falda del mezzogiorno l'aria è signoreggiata dal bosco che sovrasta e offusca la valle dove pascono al fresco le pecore, e pendono dall'erta le capre sbrancate. Cantano flebilmente gli uccelli come se piangessero il giorno che muore, mugghiano le giovenche, e il vento pare che si compiaccia del susurrar delle fronde. Ma da settentrione si dividono i colli, e s'apre all'occhio una interminabile pianura: si distinguono ne' campi vicini i buoi che tornano a casa: lo stanco agricoltore li siegue appoggiato al suo bastone; e mentre le madri e le mogli apparecchiano la cena alla affaticata famigliuola, fumano le lontane ville ancor biancicanti, e le capanne disperse per la campagna. I pastori mungono il gregge, e la vecchiarella che stava filando su la porta dell'ovile, abbandona il lavoro e va carezzando e fregando il torello, e gli agnelletti che belano intorno alle loro madri. La vista intanto si va dilungando, e dopo lunghissime file di alberi e di campi, termina nell'orizzonte dove tutto si minora e si confonde. Lancia il Sole partendo pochi raggi, come se quelli fossero gli estremi addio che dà alla Natura; e le nuvole rosseggiano, poi vanno languendo, e pallide finalmente si abbujano: allora la pianura si perde, l'ombre si diffondono su la faccia della terra; ed io, quasi in mezzo all'oceano, da quella parte non trovo che il cielo.
Jer sera appunto dopo più di due ore d'estatica contemplazione d'una bella sera di Maggio, io scendeva a passo a passo dal monte. Il mondo era in cura alla Notte, ed io non sentiva che il canto della villanella, e non vedeva che i fuochi de' pastori. Scintillavano tutte le stelle, e mentr'io salutava ad una ad una le costellazioni, la mia mente contraeva un non so che di celeste, ed il mio cuore s'innalzava come se aspirasse ad una regione più sublime assai della terra. Mi sono trovato su la montagnuola presso la chiesa: suonava la campana de' morti, e il presentimento della mia fine trasse i miei sguardi sul cimiterio dove ne' loro cumuli coperti di erba dormono gli antichi padri della villa: - Abbiate pace, o nude reliquie: la materia è tornata alla materia; nulla scema, nulla cresce, nulla si perde quaggiù; tutto si trasforma e si riproduce - umana sorte! men felice degli altri chi men la teme. - Spossato mi sdrajai boccone sotto il boschetto de' pini, e in quella muta oscurità, mi sfilavano dinanzi alla mente tutte le mie sventure e tutte le mie speranze. Da qualunque parte io corressi anelando alla felicità, dopo un aspro viaggio pieno di errori e di tormenti, mi vedeva spalancata la sepoltura dove io m'andava a perdere con tutti i mali e tutti i beni di questa inutile vita. E mi sentiva avvilito e piangeva perché avea bisogno di consolazione - e ne' miei singhiozzi io invocava Teresa.
14 Maggio
Anche jer sera tornandomi dalla montagna, mi posai stanco sotto que' pini; anche jer sera io invocava Teresa. - Udii un calpestio fra gli alberi; e mi parea d'intendere bisbigliare alcune voci. Mi sembrò poi di vedere Teresa con sua sorella - sbigottitesi a prima vista fuggivano. Io le chiamai per nome, e la Isabellina raffigurandomi, mi si gittò addosso con mille baci. Mi rizzai. Teresa s'appoggiò al mio braccio, e noi passeggiammo taciturni lungo la riva del fiumicello sino al lago de' cinque fonti. E là ci siamo quasi di consenso fermati a mirar l'astro di Venere che ci lampeggiava su gli occhi. - Oh! diss'ella, con quel dolce entusiasmo tutto suo, credi tu che il Petrarca non abbia anch'egli visitato sovente queste solitudini sospirando fra le ombre pacifiche della notte la sua perduta amica? Quando leggo i suoi versi io me lo dipingo qui - malinconico - errante - appoggiato al tronco di un albero, pascersi de' suoi mesti pensieri, e volgersi al cielo cercando con gli occhi lagrimosi la beltà immortale di Laura. Io non so come quell'anima, che avea in sé tanta parte di spirito celeste, abbia potuto sopravvivere in tanto dolore, e fermarsi fra le miserie de' mortali - oh quando s'ama davvero! - E mi parve ch'essa mi stringesse la mano, e io mi sentiva il cuore che non voleva starmi più in petto. - Sì! tu eri creata per me, nata per me, ed io - non so come ho potuto soffocare queste parole che mi scoppiavano dalle labbra. - E saliva su per la collina ed io la seguitava. Le mie potenze erano tutte di Teresa; ma la tempesta che le aveva agitate era alquanto sedata. - Tutto è amore, diss'io; l'universo non è che amore; e chi lo ha mai più sentito, chi più del Petrarca lo ha fatto dolcissimamente sentire? Que' pochi genj che si sono innalzati sopra tanti altri mortali mi spaventano di meraviglia; ma il Petrarca mi riempie di fiducia religiosa e d'amore; e mentre il mio intelletto gli sacrifica come a nume, il mio cuore lo invoca padre e amico consolatore. - Teresa sospirò insieme e sorrise.
La salita l'aveva stancata: riposiamo, diss'ella: l'erba era umida, ed io le additai un gelso poco lontano. Il più bel gelso che mai. È alto, solitario, frondoso: fra' suoi rami v'ha un nido di cardellini - ah vorrei poter innalzare sotto l'ombre di quel gelso un altare! - La ragazzina intanto ci aveva lasciati, saltando su e giù, cogliendo fioretti e gettandoli dietro le lucciole che veniano aleggiando - Teresa sedea sotto il gelso ed io seduto vicino a lei con la testa appoggiata al tronco, le recitava le odi di Saffo - sorgeva la Luna - oh! - perché mentre scrivo il mio cuore batte sì forte? beata sera!
14 Maggio, ore 11
Sì, Lorenzo! - dianzi io meditai di tacertelo - Or odilo, la mia bocca è tuttavia rugiadosa - d'un suo bacio - e le mie guance sono state innondate dalle lagrime di Teresa. Mi ama - lasciami, Lorenzo, lasciami in tutta l'estasi di questo giorno di paradiso.
14 Maggio, a sera
O quante volte ho ripigliato la penna, e non ho potuto continuare: mi sento un po' calmato e torno a scriverti. - Teresa giacea sotto il gelso - ma e che posso dirti che non sia tutto racchiuso in queste parole? Vi amo. A queste parole tutto ciò ch'io vedeva mi sembrava un riso dell'universo: io mirava con occhi di riconoscenza il cielo, e mi parea ch'egli si spalancasse per accoglierci! deh! a che non venne la morte? e l'ho invocata. Sì; ho baciato Teresa; i fiori e le piante esalavano in quel momento un odore soave; le aure erano tutte armonia; i rivi risuonavano da lontano; e tutte le cose s'abbellivano allo splendore della Luna che era tutta piena della luce infinita della Divinità. Gli elementi e gli esseri esultavano nella gioja di due cuori ebbri di amore - ho baciata e ribaciata quella mano - e Teresa mi abbracciava tutta tremante, e trasfondea i suoi sospiri nella mia bocca, e il suo cuore palpitava su questo petto: mirandomi co' suoi grandi occhi languenti, mi baciava, e le sue labbra umide, socchiuse mormoravano su le mie - ahi! che ad un tratto mi si è staccata dal seno quasi atterrita: chiamò sua sorella e s'alzò correndole incontro. Io me le sono prostrato, e tendeva le braccia come per afferrar le sue vesti - ma non ho ardito di rattenerla, né richiamarla. La sua virtù - e non tanto la sua virtù, quanto la sua passione, mi sgomentava: sentiva e sento rimorso di averla io primo eccitata nel suo cuore innocente. Ed è rimorso - rimorso di tradimento! Ahi mio cuore codardo! - Me le sono accostato tremando. - Non posso essere vostra mai! - e pronunciò queste parole dal cuore profondo e con una occhiata con cui parea rimproverarsi e compiangermi. Accompagnandola lungo la via, non mi guardò più; né io avea più cuore di dirle parola. Giunta alla ferriata del giardino mi prese di mano la Isabellina e lasciandomi: Addio, diss'ella; e rivolgendosi dopo pochi passi, - addio.
Io rimasi estatico: avrei baciate l'orme de' suoi piedi: pendeva un suo braccio, e i suoi capelli rilucenti al raggio della Luna svolazzavano mollemente: ma poi, appena appena il lungo viale e la fosca ombra degli alberi mi concedevano di travedere le ondeggianti sue vesti che da lontano ancor biancheggiavano; e poiché l'ebbi perduta, tendeva l'orecchio sperando di udir la sua voce. - E partendo, mi volsi con le braccia aperte, quasi per consolarmi, all'astro di Venere: era anch'esso sparito.
15 Maggio
Dopo quel bacio io son fatto divino. Le mie idee sono più alte e ridenti, il mio aspetto più gajo, il mio cuore più compassionevole. Mi pare che tutto s'abbellisca a' miei sguardi; il lamentar degli augelli, e il bisbiglio de' zefiri fra le frondi son oggi più soavi che mai; le piante si fecondano, e i fiori si colorano sotto a' miei piedi; non fuggo più gli uomini, e tutta la Natura mi sembra mia. Il mio ingegno è tutto bellezza e armonia. Se dovessi scolpire o dipingere la Beltà, io sdegnando ogni modello terreno la troverei nella mia immaginazione. O Amore! le arti belle sono tue figlie; tu primo hai guidato su la terra la sacra poesia, solo alimento degli animali generosi che tramandano dalla solitudine i loro canti sovrumani sino alle più tarde generazioni, spronandole con le voci e co' pensieri spirati dal cielo ad altissime imprese: tu raccendi ne' nostri petti la sola virtù utile a' mortali, la Pietà, per cui sorride talvolta il labbro dell'infelice condannato ai sospiri: e per te rivive sempre il piacere fecondatore degli esseri, senza del quale tutto sarebbe caos e morte. Se tu fuggissi, la Terra diverrebbe ingrata; gli animali, nemici fra loro; il Sole, foco malefico; e il Mondo, pianto, terrore e distruzione universale. Adesso che l'anima mia risplende di un tuo raggio, io dimentico le mie sventure; io rido delle minacce della fortuna, e rinunzio alle lusinghe dell'avvenire. - O Lorenzo! sto spesso sdrajato su la riva del lago de' cinque fonti: mi sento vezzeggiare la faccia e le chiome dai venticelli che alitando sommovono l'erba, e allegrano i fiori, e increspano le limpide acque del lago. Lo credi tu? io delirando deliziosamente mi veggo dinanzi le Ninfe ignude, saltanti, inghirlandate di rose, e invoco in lor compagnia le Muse e l'Amore; e fuor dei rivi che cascano sonanti e spumosi, vedo uscir sino al petto con le chiome stillanti sparse su le spalle rugiadose, e con gli occhi ridenti le Najadi, amabili custodi delle fontane. Illusioni! grida il filosofo. - Or non è tutto illusione? tutto! Beati gli antichi che si credeano degni de' baci delle immortali dive del cielo; che sacrificavano alla Bellezza e alle Grazie; che diffondeano lo splendore della divinità su le imperfezioni dell'uomo, e che trovavano il BELLO ed il VERO accarezzando gli idoli della lor fantasia! Illusioni! ma intanto senza di esse io non sentirei la vita che nel dolore, o (che mi spaventa ancor più) nella rigida e nojosa indolenza: e se questo cuore non vorrà più sentire, io me lo strapperò dal petto con le mie mani, e lo caccerò come un servo infedele.
21 Maggio
Ohimè che notti lunghe, angosciose! - il timore di non rivederla mi desta: divorato da un presentimento profondo, ardente, smanioso, sbalzo dal letto al balcone e non concedo riposo alle mie membra nude aggrezzate, se prima non discerno sull'oriente un raggio di giorno. Corro palpitando al suo fianco e stupido! soffoco le parole, e i sospiri: non concepisco, non odo: il tempo vola, e la notte mi strappa da quel soggiorno di paradiso. - Ahi lampo! tu rompi le tenebre, splendi, passi ed accresci il terrore e l'oscurità.
25 Maggio
Ti ringrazio, eterno Iddio, ti ringrazio! Tu hai dunque ritirato il tuo sospiro, e Lauretta ha lasciato alla terra le sue infelicità: tu ascolti i gemiti che partono dalle viscere dell'anima, e mandi la Morte per isciogliere dalle catene della vita le tue creature perseguitate ed afflitte. Mia cara amica! il tuo sepolcro beva almeno queste lagrime, sole esequie ch'io posso offerirti: le zolle che ti nascondono sieno coperte di fresca erba, e dalle benedizioni di tua madre e dalla mia. Tu vivendo speravi da me qualche conforto; eppure! non ho potuto nemmeno prestarti gli ultimi ufficj; ma - ci rivedremo - sì.
Quand'io, caro Lorenzo, mi ricordava di quella povera innocente, certi presentimenti mi gridavano dentro l'anima: È morta. Pure se tu non me ne avessi scritto, io certo non lo avrei saputo mai; perché, e chi si cura della virtù quand'è ravvolta nella povertà? Spesso mi sono accinto a scriverle. M'è caduta la penna, e ho bagnato la carta di lagrime: temeva non mi raccontasse de' nuovi martirj, e mi destasse nel cuore una corda la cui vibrazione non sarebbe cessata sì tosto. Pur troppo! noi sfuggiamo d'intendere i mali de' nostri amici; le loro miserie ci sono gravi, e il nostro orgoglio sdegna di porgere il conforto delle parole, sì caro agli infelici, quando non si può unire un soccorso vero e reale. Ma - fors'ella e sua madre mi annoveravano fra la turba di coloro che ubbriacati dalla prosperità abbandonano gli sventurati. Lo sa il cielo! Frattanto Dio ha conosciuto che non poteva reggere più: Ei tempera i venti in favore dell'agnello recentemente tosato; e - tosato al vivo! E ti dee pur ricordare com'essa un giorno tornò a casa sua, portando chiuso nel suo canestrino da lavoro un cranio di morto; e ci scoverse il coperchio, e rideva; e mostrava il cranio in mezzo a un nembo di rose. - E le sono tante e tante, diceva a noi, queste rose; e le ho rimondate di tutte le spine: e domani le si appassiranno: ma io ne compererò ben dell'altre perché ogni giorno, ogni mese crescono rose, e la morte se le piglia tuttequante. - Ma che vuoi tu farne, o Lauretta; io le dissi. - Vo' coronare questo cranio di rose, e ogni giorno di rose fresche; - e rispondendo rideva pur sempre con soave amabilità. E in quelle parole e in quel riso e in quell'aria di volto demente e in quegli occhi fitti sul cranio e in quelle sue dita pallide e tremanti che andavano intrecciando le rose - tu ti se' pur avveduto come alle volte il desiderio di morire è necessario insieme e dolcissimo; ed eloquente fin anche sul labbro d'una fanciulla impazzata.
Tornerò, Lorenzo: conviene ch'io esca; il mio cuore si gonfia e geme come se non volesse starmi più in petto: su la cima di un monte mi sembra d'essere alquanto più libero; ma qui nella mia stanza - sto quasi sotterrato in un sepolcro. -
Sono salito su la più alta montagna: i venti imperversavano; io vedeva le querce ondeggiar sotto a' miei piedi; la selva fremeva come mar burrascoso, e la valle ne rimbombava; su le rupi dell'erta sedeano le nuvole - nella terribile maestà della Natura la mia anima attonita e sbalordita ha dimenticato i suoi mali, ed è tornata alcun poco in pace con se medesima.
Vorrei dirti di grandi cose: mi passano per la mente; vi sto pensando! - m'ingombrano il cuore, s'affollano, si confondono: non so più da quale io mi debba incominciare; poi tutto a un tratto mi sfuggono, e prorompo in un pianto dirotto. Vado correndo come un pazzo senza saper dove, e perché: non m'accorgo, e i miei piedi mi trascinano fra precipizj. Io domino le valli e le campagne soggette; magnifica ed inesausta creazione! I miei sguardi e i miei pensieri si perdono nel lontano orizzonte. - Vo salendo, e sto lì - ritto - anelante - guardo ingiù; ahi voragine! - alzo gli occhi inorridito e scendo precipitoso appiè del colle dove la valle è più fosca. Un boschetto di giovani querce mi protegge dai venti e dal sole; due rivi d'acqua mormorano qua e là sommessamente: i rami bisbigliano, e un rosignuolo - ho sgridato un pastore che era venuto per rapire dal nido i suoi pargoletti: il pianto, la desolazione, la morte di quei deboli innocenti dovevano essere venduti per una moneta di rame; così va! or bench'io l'abbia compensato del guadagno che sperava di trarne e mi abbia promesso di non disturbare più i rosignuoli, tu credi ch'ei non tornerà a desolarli? - e là io mi riposo. - Dove se' ito, o buon tempo di prima! la mia ragione è malata e non può fidarsi che nel sopore, e guai se sentisse tutta la sua infermità! Quasi quasi - povera Lauretta! tu forse mi chiami - e forse fra non molto io verrò. Tutto, tutto quello ch'esiste per gli uomini non è che la lor fantasia. Dianzi fra le rupi la morte mi era spavento; e all'ombra di quel boschetto io avrei chiusi gli occhi volentieri in sonno eterno. Ci fabbrichiamo la realtà a nostro modo; i nostri desideri si vanno moltiplicando con le nostre idee; sudiamo per quello che vestito diversamente ci annoja; e le nostre passioni non sono alla stretta del conto che gli effetti delle nostre illusioni. Quanto mi sta d'intorno richiama al mio cuore quel dolce sogno della mia fanciullezza. O! come io scorreva teco queste campagne aggrappandomi or a questo or a quell'arbuscello di frutta, immemore del passato, non curando che del presente, esultando di cose che la mia immaginazione ingrandiva e che dopo un'ora non erano più, e riponendo tutte le mie speranze ne' giuochi della prossima festa. Ma quel sogno è svanito! e chi m'accerta che in questo momento io non sogni? Ben tu, mio Dio, tu che creasti gli umani cuori, tu solo, sai che sonno spaventevole è questo ch'io dormo; sai che non altro m'avanza fuorché il pianto e la morte.
Così vaneggio! cangio voti e pensieri, e quanto la Natura è più bella tanto più vorrei vederla vestita a lutto. E veramente pare che oggi m'abbia esaudito. Nel verno passato io era felice: quando la Natura dormiva mortalmente la mia anima pareva tranquilla - ed ora?
Eppur mi conforto nella speranza di essere compianto. Su l'aurora della vita io cercherò forse invano il resto della mia età che mi verrà rapito dalle mie passioni e dalle mie sventure; ma la mia sepoltura sarà bagnata dalle tue lagrime, dalle lagrime di quella fanciulla celeste. E chi mai cede a una eterna obblivione questa cara e travagliata esistenza? Chi mai vide per l'ultima volta i raggi del Sole, chi salutò la Natura per sempre, chi abbandonò i suoi diletti, le sue speranze, i suoi inganni, i suoi stessi dolori senza lasciar dietro a sé un desiderio, un sospiro, uno sguardo? Le persone a noi care che ci sopravvivono, sono parte di noi. I nostri occhi morenti chiedono altrui qualche stilla di pianto, e il nostro cuore ama che il recente cadavere sia sostenuto da braccia amorose, e cerca un petto dove trasfondere l'ultimo nostro respiro. Geme la Natura perfin nella tomba, e il suo gemito vince il silenzio e l'oscurità della morte.
M'affaccio al balcone ora che la immensa luce del Sole si va spegnendo, e le tenebre rapiscono all'universo que' raggi languidi che balenano su l'orizzonte; e nella opacità del mondo malinconico e taciturno contemplo la immagine della Distruzione divoratrice di tutte le cose. Poi giro gli occhi sulle macchie de' pini piantati dal padre mio su quel colle presso la porta della parrocchia, e travedo biancheggiare fra le frondi agitate da' venti la pietra della mia fossa. E mi par di vederti venir con mia madre, a benedire, o perdonar non foss'altro alle ceneri dell'infelice figliuolo. E predico a me, consolandomi: Forse Teresa verrà solitaria su l'alba a rattristarsi dolcemente su le mie antiche memorie, e a dirmi un altro addio. No! la morte non è dolorosa. Che se taluno metterà le mani nella mia sepoltura e scompiglierà il mio scheletro per trarre dalla notte in cui giaceranno, le mie ardenti passioni, le mie opinioni, i miei delitti - forse; non mi difendere, Lorenzo; rispondi soltanto: Era uomo, e infelice.
26 Maggio
Ei viene, Lorenzo - ei ritorna.
Scrisse di Toscana ove si fermerà venti giorni; e la lettera è in data de' 18 Maggio: fra due settimane al più - dunque!
27 Maggio
Ma penso: Ed è pur vero che questa immagine d'angelo de' cieli esista qui, in questo basso mondo, fra noi? e sospetto d'essermi innamorato della creatura della mia fantasia.
E chi non avrebbe voluto amarla anche infelicemente? e dov'è l'uomo così avventuroso col quale io degnassi di cangiare questo mio stato lagrimevole? - ma come io posso dall'altra parte essere tanto carnefice mio per tormentarmi - or nol veggo? nol vidi pur sempre? - senza niuna speranza? - Forse! un certo orgoglio in costei della sua bellezza e delle mie angosce - non mi ama, e la sua compassione coverà un tradimento. Ma quel suo bacio celeste che mi sta sempre su le labbra e mi domina tutti i pensieri? e quel suo pianto? - ahi, ma dopo quel momento mi sfugge; né s'attenta di guardarmi più in faccia. Seduttore! io? - e quando mi sento tuonare nell'anima quella tremenda sentenza: Non sarò vostra mai; io trapasso di furore in furore e medito delitti di sangue. - Non tu, innocente vergine, io solo io solo ho tentato il tradimento; e l'avrei, chi sa? - consumato.
O! un altro tuo bacio, e abbandonami poscia a' miei sogni e a' miei soavi delirj: io ti morrò a' piedi; ma tutto tuo, e sapendo che pur t'ho lasciata innocente - ma insieme infelice! Tu, se non potrai essermi sposa, mi sarai almeno compagna nel sepolcro. Ah no; la pena di questo amore fatale si rovesci sopra di me. Ch'io pianga per tutta un'eternità; ma che il cielo, o Teresa, non voglia che tu sia lungamente per mia cagione infelice! - Ma intanto io ti ho perduta, e tu mi t'involi, tu stessa. Ah se tu mi amassi com'io t'amo!
Eppure, o Lorenzo, in sì fieri dubbj, e in tanti tormenti, ogni qual volta io domando consiglio alla mia ragione, mi riconforta dicendomi: Tu non se' immortale. Or via, soffriamo dunque; e sino agli estremi - uscirò, uscirò dall'inferno della vita; e basto io solo: a questa idea rido e della fortuna, e degli uomini, e quasi della onnipotenza di Dio.
28 Maggio
Spesso io mi figuro tutto il mondo a soqquadro, e il Cielo, e il Sole, e l'Oceano, e tutti i globi nelle fiamme e nel nulla; ma se anche in mezzo alla universale rovina io potessi stringere un'altra volta Teresa - un'altra volta soltanto fra queste braccia, io invocherei la distruzione del creato.
29 Maggio, all'alba
O illusione! perché quando ne' miei sogni quest'anima è un paradiso, e Teresa è al mio fianco, e mi sento sospirar su la bocca, e - perché mi trovo poi un vuoto, un vuoto di tomba? Almen que' beati momenti non fossero mai venuti, o non fossero fuggiti mai! - questa notte io cercava brancicando quella mano che me l'ha strappata dal seno: mi parea d'intendere da lontano un suo gemito; ma le coltri molli di pianto, i miei capelli sudati, il mio petto ansante, la fitta e muta oscurità - tutto tutto mi gridava: Misero, tu deliri! Spaventato e languente mi sono buttato boccone sul letto abbracciando il guanciale, e cercando di tormentarmi nuovamente e d'illudermi.
Se tu mi vedessi stanco, squallido, taciturno errar su e giù per le montagne e cercar di Teresa, e temer di trovarla, sovente brontolar fra me stesso, chiamare, pregarla, e rispondere alle mie voci: arso dal Sole mi caccio sotto una macchia e m'addormento o vaneggio - ahi che sovente la saluto come se la vedessi, e mi pare di stringerla e di baciarla - poi mi svanisce, ed io tengo gli occhi inchiodati sui precipizj di qualche dirupo. Sì! conviene ch'io la finisca.
29 Maggio, a sera
Fuggir dunque, fuggire: ma dove? credimi, io mi sento malato: appena reggo questo mio corpo per potermelo strascinare sino alla villa, e confortarmi in quegli occhi e bere un altro sorso di vita, forse ultimo - ma senz'essa vorrei più questo inferno? Dianzi l'ho salutata per andarmene; non rispose - scesi le scale; ma non poteva scostarmi dal suo giardino: e - lo credi? la sua vista mi dà soggezione. Vedendola poi scendere con sua sorella ho tentato di tirarmi sotto una pergola e fuggirmene. La Isabellina ha gridato: Viscere mie, viscere mie, non ci avete vedute? Colpito quasi da un fulmine mi sono precipitato sopra un sedile; la ragazza mi s'è gettata al collo carezzandomi, e dicendomi all'orecchio: Perché taci sempre? Non so se Teresa m'abbia guardato; sparì dentro un viale. Dopo mezz'ora tornò a chiamare la ragazza che stava ancora fra le mie ginocchia, e m'accorsi come le sue pupille erano rosse di pianto; non mi parlò, ma mi ammazzò con un'occhiata quasi volesse dirmi: Tu mi hai ridotta così.
2 Giugno
Ecco tutto ne' suoi veri sembianti. Ahi! non sapeva che in me s'annidasse questa furia che m'investe, m'arde, mi annienta, eppur non mi uccide. Dov'è la Natura? Dov'è la sua immensa bellezza? Dov'è l'intreccio pittoresco de' colli ch'io contemplava dalla pianura inalzandomi con l'immaginazione nelle regioni dei cieli? mi sembrano rupi nude e non veggo che precipizj. Le loro falde coperte di ombre ospitali mi sono fatte nojose: io vi passeggiava un tempo fra le ingannevoli meditazioni della nostra debole filosofia. A qual pro se ci fanno conoscere le infermità nostre, né porgono i rimedj da risanarle? - Oggi io sentiva gemere la foresta ai colpi delle scuri: i contadini atterravano i roveri di duecento anni: - tutto père quaggiù!
Guardo le piante ch'una volta scansava di calpestare, e mi soffermo sovr'esse e le strappo, e le sfioro gittandole fra la polvere rapita dai venti. Gemesse con me l'universo!
Sono uscito assai prima del Sole e correndo attraverso de' solchi, cercava nella stanchezza del corpo qualche sopore a quest'anima tempestosa. La mia fronte era tutta sudore, e il mio petto ansava con difficile anelito. Soffia il vento della notte e mi scompiglia le chiome ed agghiaccia il sudore che grondavami dalle guance. - Oh! da quell'ora mi sento per tutte le membra un brivido, le mani fredde, le labbra livide, e gli occhi erranti fra le nuvole della morte.
Almeno costei non mi perseguitasse con la sua immagine, ovunque io mi vada, a piantarmisi faccia a faccia: perch'ella, o Lorenzo - perch'ella mi move qui dentro un terrore, una disperazione, una rabbia, una gran guerra - e medito talor di rapirla e di strascinarla con me nei deserti lungi dalla prepotenza degli uomini. - Ahi sciagurato! mi percuoto la fronte e bestemmio - partirò.
Mezzanotte
Io mandava alla Divinità i miei ringraziamenti, e i miei voti, ma io non la ho mai temuta. Eppure adesso che sento tutto il flagello delle sventure, io la temo e la supplico.
Il mio intelletto è acciecato, la mia anima è prostrata, il mio corpo è sbattuto dal languore della morte.
È vero! i disgraziati hanno bisogno di un altro mondo diverso da questo dove mangiano un pane amaro, e bevono l'acqua mescolata alle lagrime. La immaginazione lo crea, e il cuore si consola. La virtù sempre infelice quaggiù persevera con la speranza di un premio - ma sciagurati coloro che per non essere scellerati hanno bisogno della religione!
Mi sono prostrato in una chiesetta posta in Arquà, perché io sentiva che la mano di Dio pesava sopra il mio cuore.
Son io debole forse, Lorenzo? Il cielo non ti faccia mai sentire la necessità della solitudine, delle lagrime, e di una chiesa!
Ore 2
Il Cielo è tempestoso: le stelle rare e pallide; e la Luna mezza sepolta fra le nuvole batte con raggi lividi le mie finestre.
All'alba
Lorenzo, non odi? t'invoca l'amico tuo: qual sonno! spunta un raggio di giorno e forse per rinsanguinare i miei mali. - Dio non mi ode. Mi condanna anzi ad ogni minuto all'agonia della morte; e mi costringe a maledire i miei giorni che pur non sono macchiati di alcun delitto.
Che? se tu se' un Dio forte, prepotente, geloso, che rivedi le iniquità de' padri ne' figli, e che visiti nel tuo furore la terza e la quarta generazione, dovrò io sperar di placarti? Manda in me - bensì non in altri che in me - l'ira tua, la quale raccende nell'inferno le fiamme che dovranno ardere milioni e milioni di popoli a' quali non ti se' fatto conoscere. - Ma Teresa è innocente: e anziché stimarti crudele, t'adora con serenità soavissima d'animo. Io non t'adoro, appunto perché ti pavento - e sento pure che ho bisogno di te. Spogliati, deh! spogliati degli attributi di cui gli uomini t'hanno vestito per farti simile a loro. Non se' tu forse il Consolatore degli afflitti? E il tuo Figlio Divino non si chiamava egli il Figlio dell'Uomo? Odimi dunque. Questo cuore ti sente, ma non t'offendere del gemito a cui la Natura costringe le viscere dilaniate dell'uomo. E mormoro contro di te, e piango, e t'invoco, sperando di liberare l'anima mia - di liberarla? ma e come, se non è piena di te? se non ti ha implorato nella prosperità, e solo rifugge al tuo ajuto, e domanda il tuo braccio or quando è atterrata nella miseria? se ti teme, e non ha in te veruna speranza? Né spera, né desidera che Teresa: e ti vedo in lei sola.
Ecco, o Lorenzo, fuor delle mie labbra il delitto per cui Dio ha ritirato il suo sguardo da me. Non l'ho mai adorato come adoro Teresa. - Bestemmia! Pari a Dio colei che sarà a un soffio scheletro e nulla? Vedi l'uomo umiliato. Dovrò dunque io anteporre Teresa a Dio? - Ah da lei si spande beltà celeste ed immensa, beltà onnipotente. Misuro l'universo con uno sguardo; contemplo con occhio attonito l'eternità; tutto è caos, tutto sfuma, e s'annulla; Dio mi diventa incomprensibile; e Teresa mi sta sempre davanti.
Dopo due giorni ammalò. Il padre di Teresa andò a visitarlo, e si giovò di quell'occasione a persuaderlo che s'allontanasse da' colli Euganei. Come discreto e generoso ch'egli era, stimava l'ingegno e l'animo di Jacopo, e lo amava come il più caro amico ch'ei potesse aver mai; e m'accertò che in circostanze diverse avrebbe creduto d'ornare la sua famiglia pigliandosi per genero un giovine che se partecipava d'alcuni errori del nostro tempo, ed era dotato d'indomita tempra di cuore, aveva a ogni modo, al dire del signore T***, opinioni e virtù degne de' secoli antichi. Ma Odoardo era ricco, e di una famiglia sotto la cui parentela il signore T*** fuggiva alle persecuzioni e alle insidie de' suoi nemici, i quali lo accusavano d'avere desiderato la verace libertà del suo paese; delitto capitale in Italia. Bensì imparentandosi all'Ortis, avrebbe accelerato la rovina di lui, e della propria famiglia. Oltre di che aveva obbligata la sua fede; e per mantenerla s'era ridotto a dividersi da una moglie a lui cara. Né i suoi bilanci domestici gli assentivano di accasare Teresa con una gran dote, necessaria alle mediocri sostanze dell'Ortis. Il signore T*** mi scrisse queste cose, e le disse a Jacopo che sapeale da sé, e le ascoltò con aspetto riposatissimo; ma non sì tosto udì parlare di dote. No, lo interruppe, esule, povero, oscuro a tutti i mortali, mi vorrei sotterrar vivo anziché domandarvi vostra figlia in sposa. Sono sfortunato, non però vile. Né i miei figliuoli dovranno riconoscere mai la loro fortuna dalla ricchezza della loro madre. Vostra figlia è più ricca di me, ed è promessa. Dunque? rispose il signore T***. - Jacopo non fiatò. Alzò gli occhi al cielo, e dopo molta ora: O Teresa, esclamò, sarai a ogni modo infelice! O amico mio, gli soggiunse allora amorevolmente il signore T***, e per chi mai cominciò ad essere misera se non per voi? Erasi già per amor mio rassegnata al suo stato; e sola poteva rappacificare una volta i suoi poveri genitori. Vi ha amato; e voi che pure l'amate con sì altera generosità, voi pur le rapite uno sposo, e manterrete discorde una casa ove foste, e siete, e sarete sempre accolto come figliuolo. Arrendetevi; allontanatevi per alcuni mesi. Forse avreste trovato in altri un padre severo: ma io! - sono stato anch'io sventurato; ho provato le passioni, pur troppo! e ne provo - e ho imparato a compiangerle, perché sento io pure il bisogno d'essere compatito. Bensì da voi solo all'età mia quasi canuta ho imparato come alle volte si stima l'uomo che ci danneggia, massime se è dotato di tale carattere da far parere generosi e tremendi gli affetti che in altri pajoni colpevoli insieme e risibili. Né io vel dissimulo: voi, dal dì che primamente vi ho conosciuto, avete assunto tale inesplicabile predominio sopra di me, da costringermi a temervi insieme ed amarvi: e spesso andava noverando i minuti per impazienza di rivedervi, e nel tempo stesso io sentivami preso d'un tremito subitaneo e secreto allorché i miei servi mi davano avviso che voi salivate le scale. Or voi abbiate pietà di me, e della vostra gioventù, e della fama di Teresa. La sua beltà e la sua salute vanno languendo; le sue viscere si struggono nel silenzio, e per voi. Io vi scongiuro in nome di Teresa, partite; sacrificate la vostra passione alla sua quiete; e non vogliate ch'io sia l'amico insieme e il marito e il padre più misero che sia mai nato. Jacopo parea intenerito: non però mutò aspetto, né gli cadde lagrima dagli occhi, né rispose parola; benché il signore T*** a mezzo il discorso si rattenesse a stento dal piangere: e restò a canto al letto di Jacopo sino a notte tardissima: ma né l'uno né l'altro aprirono più bocca se non quando si dissero addio. - La malattia del giovine aggravò; e ne' giorni seguenti fu sovrappreso da febbre pericolosa.
Frattanto io sgomentato e dalle lettere recenti di Jacopo, e da quelle del padre di Teresa, studiava ogni via per accelerare la partenza dell'amico mio, come solo rimedio alla sua violenta passione. Né ebbi cuore di rivelarla a sua madre, la quale aveva già avuto molte altre dolorosissime prove dell'indole sua capace d'eccessi; e le dissi soltanto, ch'era un po' malato, e che il mutar aria gli avrebbe certamente giovato.
In quel tempo stesso incominciavano a inferocire in Venezia le persecuzioni. Non v'erano leggi; ma tribunali arbitrarj; non accusatori, non difensori; bensì spie di pensieri, delitti nuovi, ignoti a chi n'era punito, e pene subite, inappellabili. I più sospettati gemevano carcerati; gli altri, benché d'antica e specchiata fama, erano tolti di notte alle proprie case, manomessi dagli sgherri, strascinati a' confini e abbandonati alla ventura, senza l'addio de' congiunti, e destituti d'ogni umano soccorso. Per alcuni pochi l'esilio scevro da questi modi violenti ed infami fu somma clemenza. Ed io pure tardo, e non ultimo e tacito martire, vo da più mesi profugo per l'Italia volgendo senza nessuna speranza gli occhi lagrimosi alle sponde della mia patria. Onde io allora, adombrato anche per la libertà di Jacopo, persuasi sua madre, quantunque desolatissima, a raccomandargli che sino a tempi migliori cercasse rifuggio in altro paese; tanto più che quando s'era partito di Padova, si scusò allegando gli stessi pericoli. Fu fidata la lettera a un servo il quale giunse a' colli Euganei la sera de' 15 Luglio, e trovò Jacopo ancora a letto, sebbene migliorato d'assai. Gli sedeva vicino il padre di Teresa. Lesse la lettera sommessamente, e la posò sul guanciale; poco dopo la rilesse, e parve commosso; ma non ne parlò.
Il dì 19 s'alzò da letto. In quel giorno stesso sua madre gli riscrisse inviandogli danaro, due cambiali, e parecchie commendatizie, e scongiurandolo per le viscere di Dio che partisse. Assai prima di sera andò da Teresa; e non trovò che l'Isabellina la quale tutta intenerita contò ch'ei s'assise muto, si rizzò, la baciò, e se ne andò. Tornò dopo un'ora, e salendo per le scale la incontrò nuovamente, e se la strinse al petto, la baciò più volte, e la bagnò di lagrime. Si pose a scrivere, mutò varii fogli, e li stracciò poi tutti. Si aggirò pensieroso per l'orto. Un servo passandovi su l'imbrunire, lo vide sdrajato: ripassando, lo trovò ritto presso al rastrello in atto d'uscire, e col capo rivolto attentissimo verso la casa ch'era battuta dalla Luna.
Tornatosi a casa, rimandò il messo rispondendo a sua madre, che domani su l'alba partiva. Fece ordinare i cavalli alla posta più vicina. Innanzi di coricarsi, scrisse la lettera seguente per Teresa, e la consegnò all'ortolano. All'alba partì.
Ore 9
Perdonami, Teresa; io ho funestato la tua giovinezza, e la quiete della tua casa; ma fuggirò. Né io mi credeva dotato di tanta costanza. Posso lasciarti, e non morir di dolore; e non è poco; usiamo dunque di questo momento finché il cuore mi regge, e la ragione non mi abbandona affatto. Pur la mia mente è sepolta nel solo pensiero di amarti sempre e di piangerti. Ma sarà obbligo mio di non più scriverti, né di mai più rivederti se non se quando sarò certissimo di lasciarti quieta davvero. Oggi t'ho cercato invano per dirti addio. Abbiti almeno, o Teresa, queste ultime righe ch'io bagno, tu 'l vedi, d'amarissime lagrime. Mandami in qualunque tempo, in qualunque luogo il tuo ritratto. Se l'amicizia, se l'amore - o la compassione e la gratitudine ti parlano ancora per questo sconsolato, non negarmi il ristoro che addolcirà tutti i miei patimenti. Tuo padre stesso me lo concederà, spero - egli egli che potrà vederti, ed udirti, e sentirsi riconfortato da te; mentr'io nelle ore fantastiche del mio dolore e delle mie passioni, nojato da tutto il mondo, diffidente di tutti, camminando sopra la terra come di locanda in locanda, e drizzando volontariamente i miei passi verso la sepoltura - perché ho veramente necessità di riposo - io mi conforterò intanto baciando dì e notte l'immagine tua: e così tu m'infonderai da lontano costanza da sopportare questa mia vita, - e finché avrò forze, io la sopporterò per te, e te lo giuro. E tu prega - prega, o Teresa, dalle viscere del tuo cuore purissimo il Cielo - non che mi perdoni i dolori, che forse avrò meritati, e che forse sono inseparabili dalla tempra dell'anima mia - bensì che non mi levi le poche facoltà che ancora mi avanzano, da tollerarli. Con l'immagine tua farò men angosciose le mie notti, e meno tristi i miei giorni solitarj, que' giorni ch'io dovrò pur vivere senza di te. Morendo, io volgerò a te gli ultimi sguardi, io ti raccomanderò il mio sospiro; verserò sovra di te l'anima mia, ti porterò meco nella mia sepoltura attaccata al mio petto - e se è pure prescritto ch'io chiuda gli occhi in terra straniera, e dove nessun cuore mi piangerà, io ti richiamerò tacitamente al mio capezzale, e mi parrà di vederti in quell'aspetto, in quell'atto, con quella stessa pietà che io ti vedeva, quando una volta, assai prima che tu sapessi di amarmi, assai prima che tu t'accorgessi dell'amor mio - ed io era ancora innocente verso di te - mi assistevi nella mia malattia. - Di te non ho se non l'unica lettera che mi scrivesti quando io era in Padova: felice tempo! ma chi l'avrebbe mai detto? allora parevami che tu mi raccomandassi di ritornare: - ed ora? scrivo il decreto; ed eseguirò fra poche ore il decreto della nostra eterna separazione. Da quella tua lettera comincia la storia dell'amor nostro e non mi abbandonerà mai. O mia Teresa! e questi son pure delirj: ma sono insieme la sola consolazione di chi è insanabilmente infelice. Addio. Perdonami, mia Teresa - ohimè, io mi credeva più forte! - scrivo male e di un carattere appena leggibile; ma ho l'anima lacerata, e il pianto su gli occhi. Per carità non mi negare il tuo ritratto. Consegnalo a Lorenzo: e s'ei non me lo potrà far arrivare, lo custodirà come eredità santa che gli ricorderà sempre le tue virtù, e la tua bellezza, e l'unico eterno infelicissimo amore del suo misero amico. Addio - ma non è l'ultimo; mi rivedrai: e da quel giorno in poi sarò fatto tale da obbligare gli uomini ad avere pietà e rispetto alla nostra passione; e a te non sarà più delitto l'amarmi - pur se innanzi ch'io ti rivegga, il mio dolore mi scavasse la fossa, concedimi ch'io mi renda cara la morte con la certezza che tu m'hai amato. - Or sì ch'io sento in che dolore io ti lascio! Oh! potessi morire a' tuoi piedi: oh! morire ed essere sepolto nella terra che avrà le tue ossa - ma addio.
Michele dissemi che il suo podrone viaggiò per due poste silenziosissimo, e con aspetto assai calmo, e quasi sereno. Poi chiese il suo scrigno da viaggio; e tanto che si rimutavano i cavalli, scrisse il seguente biglietto al signore T***.
Signore ed amico mio.
All'ortolano di casa mia ho raccomandato jer sera una lettera da ricapitarsi alla Signorina; - e bench'io l'abbia scritta quand'io già m'era saldamente deliberato a questo partito d'allontanarmi, temo a ogni modo d'avere versato sovra quel foglio tanta afflizione da contristare quella innocente. A lei dunque, signor mio, non rincresca di farsi mandare quella lettera dall'ortolano; e gli fo' dire che non la fidi se non a lei solo. La serbi così sigillata o la bruci. Ma perché alla sua figliuola riescirebbe amarissimo ch'io mi partissi senza lasciarle un addio, e tutto jeri non mi fu dato mai di vederla - ecco qui annesso un polizzino pur sigillato - ed ardisco sperare ch'ella, signor mio, la consegnerà a Teresa T*** innanzi che diventi moglie del marchese Odoardo. - Non so se ci rivedremo - ho ben decretato di morire, non foss'altro, vicino alla mia casa paterna; ma quand'anche questo mio proponimento fosse deluso - sono certo ch'ella, signore ed amico mio, non vorrà mai dimenticarsi di me.
Il signore T*** mi fe' capitare la lettera per Teresa (che ho riportato dianzi) a sigillo inviolato; - né tardò a dare a sua figlia il polizzino. L'ebbi sott'occhio; era di poche righe; e d'uomo che per allora pareva tornato in sé.
Tutti quasi i frammenti che seguono mi vennero per la posta in diversi fogli.
Rovigo, 20 Luglio
Io la mirava e diceva a me stesso: Che sarebbe di me se non potessi vederla più? e correva a piangere meco di consolazione sapendo ch'io le era vicino - e adesso?
Cos'è più l'universo? qual parte mai della terra potrà sostenermi senza Teresa? e mi pare di esserle lontano sognando. Ho avuto io tanta costanza? e m'è bastato il cuore di partire così - senza vederla? né un bacio, né un unico addio! A minuto a minuto credo di trovarmi alla porta della sua casa, e di leggere nella mestizia del suo volto, che m'ama. Fuggo; e con che velocità ogni minuto mi porta ognor più lontano da lei. E intanto? quante care illusioni! ma io l'ho perduta. Non so più obbedire né alla mia volontà, né alla mia ragione, né al mio cuore sbalordito: mi lascierò strascinare dal braccio prepotente del mio destino. Addio.
Ferrara, 20 Luglio, a sera
Io traversava il Po e rimirava le immense sue acque, e più volte fui per precipitarmi, e profondarmi, e perdermi per sempre. Tutto è un punto! - ah s'io non avessi una madre cara e sventurata a cui la mia morte costerebbe amarissime lagrime!
Né finirò così da codardo. Sosterrò tutta la mia sciagura; berrò fino all'ultima lagrima il pianto che mi fu assegnato dal Cielo; e quando le difese saranno vane, disperate tutte le passioni, tutte le forze consunte; quando io avrò coraggio di mirare la Morte in faccia, e ragionare pacatamente con lei, ed assaporare l'amaro suo calice, ed espiate le altrui lagrime, e disperato di rasciugarle - allora.
Ma ora ch'io parlo non è forse tutto perduto? e non mi resta che la sola memoria e la certezza che tutto è perduto: - hai tu provata mai quella piena di dolore quando ci abbandonano tutte le speranze?
Né un bacio? né addio! - bensì le tue lagrime mi seguiranno nella mia sepoltura. La mia salute, la mia sorte, il mio cuore, tu - tu! - insomma tutto congiura, ed io vi obbedirò tutti.
Ore...
E ho avuto cuore di abbandonarla? anzi ti ho abbandonata, o Teresa, in uno stato più deplorabile del mio. Chi sarà tuo consolatore? e tremerai al solo mio nome poiché t'ho fatto vedere io - io primo, io unico sull'aurora della tua vita, le tempeste e le tenebre della sventura; e tu, o giovinetta, non sei ancora sì forte né da tollerare né da fuggire la vita. Tu, per anche non sai che l'alba e la sera sono tutt'uno. Ah né io te lo voglio persuadere! - eppure non abbiamo più ajuto veruno dagli uomini, nessuna consolazione in noi stessi. Ormai non so che supplicare il sommo Iddio, e supplicarlo co' miei gemiti, e cercare alcuna speranza fuori di questo mondo dove tutti ci perseguitano e ci abbandonano. E se gli spasimi, e le preghiere, e il rimorso ch'è fatto già mio carnefice, fossero offerte accolte dal Cielo, ah! tu non saresti così infelice, ed io benedirei tutti i miei tormenti. Frattanto nella mia disperazione mortale chi sa in che pericoli tu sei! né io posso difenderti, né rasciugare il tuo pianto, né raccogliere nel mio petto i tuoi secreti, né partecipare delle tue afflizioni; non so né dove fuggo, né come ti lascio, né quando potrò più rivederti.
Padre crudele - Teresa è sangue tuo! quell'altare è profanato; la Natura ed il Cielo maledicono quei giuramenti; il ribrezzo, la gelosia, la discordia ed il pentimento gireranno fremendo intorno a quel letto e insanguineranno forse quelle catene. Teresa è figlia tua; placati. Ti pentirai amaramente, ma tardi: fors'ella un giorno nell'orrore del suo stato maledirà i suoi giorni e i suoi genitori, e conturberà con le sue querele le tue ossa nel sepolcro, quando tu non potrai se non intenderla di sotterra. Placati. - Ohimè! tu non mi ascolti - e dove me la trascini? - la vittima è sacrificata! io odo il suo gemito - il mio nome nel suo ultimo gemito! Barbari! tremate - il vostro sangue, il mio sangue - Teresa sarà vendicata. - Ahi delirio! - ma io son pure omicida.
Ma tu, Lorenzo mio, che non mi ajuti? io non ti scriveva perché un'eterna tempesta d'ira, di gelosia, di vendetta, di amore infuriava dentro di me; e tante passioni mi si gonfiavano nel petto, e mi soffocavano, e mi strozzavano quasi; io non poteva mandare parola, e sentiva il dolore impietrito dentro di me - e questo dolore regna ancora e mi chiude la voce e i sospiri, e m'inaridisce le lagrime: - mi sento mancata gran parte della vita, e quel poco che pure mi resta è avvilito dal languore e dalla oscurità della morte.
Or mi adiro sovente di essere partito, e mi accuso di viltà. - Perché mai non hanno ardito d'insultare alla mia passione? Se taluno avesse comandato a quella misera di non rivedermi; se me l'avessero a viva forza strappata, pensi tu ch'io l'avrei lasciata mai? Ma doveva io pagare d'ingratitudine un padre che mi chiamava amico, che tante volte commosso mi abbracciava dicendomi: E perché la sorte ti ha pur unito a noi disgraziati? Poteva io precipitare nel disonore e nella persecuzione una famiglia che in altre circostanze avrebbe diviso meco e la prosperità e l'infortunio? E che poteva io rispondergli quand'ei mi diceva sospirando e pregandomi: - Teresa è mia figlia! - Sì! divorerò nel rimorso e nella solitudine tutti i miei giorni: ma ringrazierò quella tremenda mano invisibile che mi rapì da quel precipizio donde io cadendo avrei strascinato meco nella voragine quella giovinetta innocente. E mi seguitava; ed io crudele andava pur soffermandomi, e voltando gli occhi guardando se affrettavasi dietro a' miei passi precipitosi - e mi seguitava; ma con animo spaventato, e con deboli forze. Che? Or non son io seduttore? - e non dovrò tormele eternamente dagli occhi? Potessi anzi nascondermi a tutto l'universo e piangere le mie sciagure! ma piangerli quando io gli ho esacerbati?
Niuno sa quale segreto sta sepolto qui dentro - e questo sudore freddo improvviso - e questo arretrarmi - e il lamento che tutte le sere vien di sotterra, e mi chiama - e quel cadavere - perché io, Lorenzo, non sono forse omicida; ma pur mi veggo insanguinato d'un omicidio.
Spunta appena il giorno, ed io sto per partire. Da quanto tempo l'aurora mi trova sempre in un sonno da infermo! La notte non trovo mai posa. Poco fa io spalancava gli occhi urlando e guatandomi intorno come se mi vedessi sul capo il manigoldo. Sento nello svegliarmi certi terrori, simile a quegli sciagurati che hanno le mani calde di delitto. - Addio addio. Parto, e ognor più lontano. Ti scriverò da Bologna dentr'oggi. Ringrazia mia madre. Pregala perché benedica il suo povero figliuolo. S'ella sapesse tutto il mio stato! ma taci: su le sue piaghe non aprire un'altra piaga.